Ci ha messo un po’ più del previsto, ma Donald Trump è riuscito a fermare la guerra scatenata da Hamas contro Israele. E non si può rimproverare al tycoon di aver tergiversato, perché la ricetta per la pace in 24 ore non esiste. O quello che è stato un tipico annuncio – lecito – da campagna elettorale. Quindi non un giorno, ma 10 mesi di duro lavoro, hanno finalmente pagato. Durante la notte e nelle prime ore del mattino, le Forze di difesa israeliane hanno avviato il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, secondo le linee di schieramento previste dall’accordo raggiunto con i terroristi. Lo riporta il Times of Israel, precisando che alcune unità sono state completamente ritirate, mentre altre resteranno a presidiare le aree di confine definite nell’intesa. L’operazione è avvenuta sotto la copertura di intensi bombardamenti di artiglieria e di raid aerei mirati, a garanzia della sicurezza del movimento delle truppe. Il completamento del ritiro è atteso entro la serata, cioè entro 24 ore dalla ratifica ufficiale dell’accordo da parte del governo israeliano.
L’intesa, approvata nella notte con una maggioranza affatto assoluta – cinque ministri contrari, tutti appartenenti alle destra tradizionalista di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich – ha sancito l’entrata in vigore immediata del cessate il fuoco nella Striscia, come previsto dal documento firmato al Cairo giovedì mattina. La tregua sarà supervisionata da una task force internazionale composta da circa 200 soldati statunitensi e da militari provenienti da Egitto, Qatar, Turchia e, con ogni probabilità, Emirati arabi uniti. A confermarlo è stato un alto funzionario della Casa Bianca in un briefing telefonico a cui hanno partecipato diversi media internazionali. Parallelamente, lo Us Central Command istituirà in Israele un “centro di coordinamento civile-militare” con il compito di agevolare il flusso di aiuti umanitari e gestire la logistica delle operazioni di sicurezza a Gaza. L’Idf arretrerà fino alla cosiddetta linea gialla, indicata nelle mappe dell’accordo, entro le prossime 24 ore. Al termine del ritiro, Hamas sarà obbligata a rilasciare tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore. Un calendario che, come ha anticipato Donald Trump, prevede le prime liberazioni “lunedì o martedì”.
Il commander-in-chief americano sta preparando la partenza per il Medio Oriente. Secondo quanto stabilito, i 20 ostaggi in vita saranno liberati in un unico scambio, mentre le salme degli ostaggi deceduti verranno consegnate in più fasi. In cambio, Israele autorizzerà la scarcerazione di circa 2.000 detenuti palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo per terrorismo. Hamas dovrà procedere al rilascio senza cerimonie pubbliche, mentre resteranno esclusi i miliziani delle Nukhba forces responsabili del massacro del 7 ottobre e i quattro ergastolani richiesti dal movimento islamista, tra cui Marwan Barghouti. “Abbiamo messo fine alla guerra, penso che porterà a una pace durevole”, ha spiegato Trump ai suoi ministri, annunciando l’intenzione di partecipare alla cerimonia ufficiale al Cairo prevista per domenica. Il viaggio, che dovrebbe includere anche una tappa in Israele, segnerebbe un evento senza precedenti: il tycoon diventerebbe infatti il primo presidente americano a intervenire alla Knesset. L’invito è arrivato direttamente dal premier Benjamin Netanyahu, con cui Trump ha avuto una telefonata definita “molto emozionante e calorosa”. Netanyahu si è poi aggiunto al crescente fronte internazionale – che comprende anche il New York Times – favorevole alla candidatura di Trump al premio Nobel per la pace. Ormai valida per il 2026.
In Egitto si prepara intanto una conferenza internazionale sul futuro della causa palestinese. I Paesi arabi del Golfo, insieme a Qatar e Turchia, hanno confermato la loro partecipazione al piano di ricostruzione di Gaza. Trump ha espresso gratitudine ai leader regionali, riservando parole di elogio al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan per il “ruolo grandioso” nella mediazione con Hamas. Il presidente americano ha anche aperto alla possibilità di un dialogo con l’Iran, storico alleato dei miliziani palestinesi, dopo che Teheran ha espresso sostegno all’accordo, seguito anche da un’approvazione ufficiale da parte di Vladimir Putin. Il focus ora si concentra sullo scambio di prigionieri. L’accordo prevede anche la restituzione dei corpi di 360 miliziani di Hamas, con l’esclusione dei fratelli Yahya e Mohammed Sinwar. Secondo quanto precisato dalla portavoce del governo israeliano, l’esercito manterrà il controllo di circa il 53 per cento del territorio della Striscia, a garanzia della sicurezza e del monitoraggio della tregua. Un patto che potrebbe cambiare il corso della storia del Medio Oriente.
Aggiornato il 10 ottobre 2025 alle ore 12:38
