Gaza, l’islam-comunismo e l’ondata dei compagni buoni di Hamas

Con Roma già in allerta per la manifestazione prevista per oggi, 8 ottobre 2025, e con le strade già piene ieri sera di manifestanti non autorizzati a Bologna, dove hanno dato vita ai soliti scontri con la polizia inneggiando alla Palestina e gridando slogan contro Israele, si è conclusa la seconda giornata della memoria per ricordare le vittime del massacro islamista e terrorista attuato da Hamas il 7 ottobre 2023. Questi nuovi tentativi di sostenere in extremis il potere criminale di Hamas a Gaza e di affossare ogni tentativo di pace non sono stati molto diversi da quelli che si sono verificati nei giorni scorsi, nonostante un’evidenza che dovrebbe essere ormai conclamata: che il 7 ottobre di due anni fa accadde qualcosa di inaudito, qualcosa che sembrava non potersi più ripetere nella storia, qualcosa verso cui l’umanità sembrava vaccinata e da cui pareva ormai immune.

Accadde all’improvviso, nel giorno del compleanno di un dittatore criminale che stava massacrando da un anno e mezzo un popolo in lotta per la sua libertà e indipendenza, e dopo che qualche settimana prima a Mosca si erano incontrati rappresentanti del governo russo, di quello iraniano e di Hamas. Accadde cogliendo di sorpresa il governo israeliano che pur sapeva che qualcosa del genere poteva accadere e che lo si stava preparando, perché non era credibile nemmeno da parte di chi, pur senza poterne prevedere il dove e il quando, sapeva che poteva accadere. E invece quanto non era credibile successe davvero, e 1.200 israeliani dovettero subire massacri e torture non meno cinici e feroci di quelli che 6 milioni di ebrei avevano già dovuto subire per mano dei nazisti. Oggi, dopo due anni, le immagini di quei massacri e di quei rapimenti sono ancora vive negli occhi di tutti coloro che hanno la forza morale e l’onestà intellettuale per non volerli cancellare dalla loro coscienza.

In un primo momento, nei giorni successivi al 7 ottobre di due anni fa, ci fu nel mondo un silenzio attonito, rotto solo dal dolore di chi aveva visto e sentito, da qualche testimone sopravvissuto e da qualche capo di governo indignato, ma subito dopo, accanto a queste voci si sono sentite, all’inizio in modo appena percettibile, da lontano, come da un sogno, le grida di giubilo di qualche festeggiamento, danze e spari di gioia e di vittoria nell’aria, feste nelle pubbliche vie di Gaza, e insieme a questi si sono poi in rapida successione visti corpi di donne e di uomini trascinati per le strade sui camion e auto, colpiti con dei bastoni o presi a calci mentre sembravano già morti, spostati come sacchi mentre erano ancora vivi ma già ormai incapaci di gridare.

Dopo si incominciò a sentire però un altro silenzio, quello di chi doveva decidere cosa fare, come reagire, come cercare di liberare gli ostaggi rapiti e ogni giorno esposti a quelle torture. Fu un silenzio abbastanza lungo perché non era una decisione facile da prendere, perché si trattava in qualche modo di scegliere tra il cedere al ricatto di Hamas e decretarne la vittoria pur di tentare di riavere subito indietro gli ostaggi o fare qualcosa che avrebbe avuto comunque conseguenza tragiche non solo per il popolo israeliano, ma anche per tutti quei palestinesi innocenti che non erano collusi con il potere di Hamas e che sarebbero stati usati come scudi umani per difendere la sua strategia criminale. Non era una decisione facile da prendere, ma dopo aver sondato la possibilità di arrivare a una liberazione degli ostaggi attraverso una trattativa il cui esito non decretasse la completa vittoria di Hamas, il governo israeliano capì di non avere a sua disposizione nessuna altra opzione oltre quella più dolorosa e pericolosa per tutti: per gli ostaggi in primo luogo, ma anche per il popolo israeliano, e anche per quei palestinesi che non erano complici del potere criminale di Hamas, ma che sarebbero stati da quest’organizzazione islamista e terrorista sacrificati al solo scopo di conseguire il fine più volte proclamato di distruggere lo Stato ebraico.

Subito dopo l’inizio dell’operazione militare che si proponeva di sradicare Hamas da Gaza per liberare gli ostaggi, dopo aver compreso che purtroppo questo era l’unico modo realistico per farlo nonostante gli enormi costi, umani e geopolitici, che avrebbe comportato, si fecero però sentire di nuovo quelle grida. Non quelle degli ostaggi israeliani tenuti nascosti in tunnel predisposti per 20 anni sotto scuole e ospedali, che quelle non si potevano sentire, ma le grida di festa e di vittoria, e queste grida, sotto forma di slogan, non venivano più solo da Gaza, ma dalla civilissima Europa e da tutti i democratici Paesi occidentali. Man mano che la campagna militare israeliana procedeva sul campo, con la sua enorme e tragica scia di morti e di sofferenze, man mano che gli ostaggi continuavano a non essere restituiti per non interromperla, man mano che il sangue dei bambini palestinesi usati come scudi umani continuava a scorrere per le strade di Gaza per cercare di ottenere l’isolamento internazionale d’Israele, mentre tutto questo accadeva ciò che era stato a lungo sommerso e latente poté tornare così a manifestarsi con tutta la sua atavica forza distruttiva e assassina.

Alcuni dei docenti che avevano accompagnato per anni i loro studenti a visitare i campi di sterminio e che in fondo avevano sempre sospettato che gli ebrei qualche colpa dovessero pur averla avuta hanno tirato un sospiro di sollievo e con loro chi aveva sempre pensato che un popolo che era riuscito a sopravvivere a così tante e atroci persecuzioni conservando la sua unità, la sua libertà e indipendenza, e anche un notevole benessere economico, nonostante tutte le variegate posizioni politiche e religiose dei suoi cittadini, doveva essere portatore di qualche caratteristica infida e pericolosa.

A poco a poco, con un’inesorabile progressione, i fantasmi delle plutocrazie occidentali e degli ebrei deicidi e usurai, conniventi da sempre con l’infame capitalismo sfruttatore dei proletari e della povera gente, si sono poi risollevati uscendo a sciami dalle fogne dell’inconscio collettivo dove erano stati a lungo rimossi per riversarsi nelle stradbe e nelle piazze di tutto il mondo occidentale. Si è arrivati così, nei giorni scorsi, a vedere milioni di manifestanti sfilare non solo per la pace e per una Palestina libera, ma per l’eliminazione del nemico denominato “sionista”, per la soppressione dello Stato ebraico e della sua memoria storica, per una più accurata e profonda rimozione dell’infamia che gli ebrei dovettero subire per mano dei loro primi e più tremendi odiatori, di chi ne concepì lo sterminio riuscendo poi quasi a completarne l’attuazione, ma anche, e forse ancor prima, per mano di tutti i nemici della libertà e della democrazia.

E tuttavia, nonostante le apparenze, nonostante gli striscioni che inneggiano al 7 ottobre 2023 come al momento culminante di liberazione del popolo palestinese, tra quei milioni di persone che hanno sfilato nei giorni scorsi e che continuano ancora oggi a manifestare nelle strade e nelle piazze gli antisemiti sono solo una minoranza. La maggioranza di quelle persone sono invece mosse da tre ordini di motivazioni distinte, che però, combinandosi tra loro, sono in grado di produrre l’effetto auspicato da chi ha saputo ben miscelarle e coordinarle. In primo luogo c’è lo sgomento, in molti genuino, per le devastazioni che un esercito regolare che combatte su un territorio capillarmente militarizzato deve attuare per cercare di eliminare dei terroristi che si nascondono tra i civili e che sono di fatto indistinguibili dai civili. Le stragi che l’azione militare israeliana ha inevitabilmente causato non possono infatti lasciare indifferente nessun individuo ancora umano. Il secondo fattore in questione, dopo lo strazio provocato dalle immagini provenienti da Gaza e moltiplicate poi dai dati forniti all’Onu e ai media internazionali da Hamas, è il rifiuto di rispondere a una domanda semplice come la seguente: cosa avrebbe dovuto fare Israele per cercare di liberare gli ostaggi senza cedere al ricatto criminale di Hamas e anzi per sradicarne il potere a Gaza?

Nell’impossibilità di trovare risposte a un tempo verosimili e tollerabili per la loro coscienza, anche coloro che ammettono di non avere una risposta a questa domanda asseriscono che in ogni caso non si poteva e non si doveva fare ciò che poi si è fatto. Qualcos’altro, non si sa bene cosa, si poteva forse fare, ma non questo. Il non disporre di una risposta a questa domanda non suscita in loro rilevanti perplessità o dubbi di sorta, perché partono dal punto di vista che quando una soluzione alternativa è necessaria questa debba anche esistere, e che possa dunque essere trovata. Si tratta, ovviamente, di un punto di vista del tutto arbitrario: la storia, così come la logica, ci insegnano che a volte purtroppo le alternative non esistono, o che almeno non ne esistono talora di diverse da una resa sostanzialmente incondizionata al nemico. E poi, c’è il terzo ordine di motivi, quello che più di ogni altro è frutto di una mendace narrazione storica prolungata nel tempo, secondo la quale non è vero che tutto sia iniziato il 7 ottobre 2023: tutto sarebbe invece iniziato molto molto prima, e per la precisione con l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e poi, successivamente, con l’apartheid del popolo di Gaza.

Ora, com’è noto a chi si è anche solo sommariamente documentato e non si lascia accalappiare da narrative faziose e strumentali, l’occupazione della Striscia di Gaza da parte di Israele, occupazione a cui aveva peraltro rinunciato con il ritiro unilaterale delle sue truppe nel 2008, fu l’effetto di una guerra vinta, una guerra iniziata nel 1948 non da Israele, ma da quei Paesi arabi che negavano, e che in buona parte ancora negano, il suo stesso diritto di esistere. Si trattava dunque di un’occupazione perfettamente legittima, come legittima è sempre qualsiasi occupazione di territori che sia scaturita da una vittoria militare in seguito una guerra mossa da Paesi che ambiscano alla distruzione di un altro Paese sovrano e democratico. Quanto poi all’apartheid, questo non c’è e non c’è mai stato: ci sono invece stati i legittimi e doverosi controlli di una popolazione che a gran voce chiede da circa 80 anni la soppressione dello Stato ebraico, e che da allora lo attacca facendo ampiamente ricorso all’arma del terrorismo. In questo contesto, il paradosso più grande è che coloro che criticano Israele per queste ragioni gli rimproverano anche di non aver controllato in modo abbastanza efficace il confine lungo la Striscia di Gaza onde evitare l’attacco del 7 ottobre, una critica a doppio senso inverso atta a non smarrire il vizio di accusare Israele di tutto e del contrario di tutto.

In ogni caso, comunque la si possa pensare su questi temi, la maggior parte dei manifestanti di questi giorni per le strade e per le piazze non sono antisemiti, non odiano o disprezzano pregiudizialmente il popolo ebraico, ma semplicemente assecondano e cavalcano un’ondata d’indignazione alimentata da media esibendo la tipica falsa coscienza di chi si sente parte di una comunitàbuona”, animata dalle migliori intenzioni morali e politiche. Assecondando e sviluppando la narrativa proposta da Hamas e fatta propria dagli islam-comunisti nostrani, coloro che partecipano all’ondata si sentono parte di qualcosa che è in sé positivo, in quanto gli consente di esibire un generico desiderio di pace e di giustizia. In questo modo però non si rendono conto che il primo nemico della pace e della giustizia in tutta l’area mediorientale è costituito proprio da Hamas e dalle organizzazioni internazionali che lo sostengono, con la conseguenza che le loro manifestazioni di protesta si rivelano a un tempo un atto di complicità con una delle più spietate organizzazioni criminali e antisemite della storia, e il frutto di un’analisi banalmente volta al conseguimento di un male obiettivo, che è costituito dalla perpetuazione del potere di Hamas.

La stessa “banalità del male” che consente oggi a folle di persone che sentono di volere una pace giusta è comparabile a quella che durante gli anni Trenta del secolo scorso consentiva ad analoghe folle di riempire le piazze delle città tedesche e italiane individuando negli ebrei la principale causa dei problemi del mondo e sentendosi appagati dal desiderio di volerli estirpare per il bene dell’umanità. Ciò che consentì a milioni di persone di convivere tranquillamente con quello sterminio fu la falsa coscienza che li indusse a ritenere l’antisemitismo nazista una cosa normale, motivata da giuste ragioni storiche e politiche, ovvero, in sintesi, dal pericolo costituito dalle plutocrazie occidentali, che nient’altro poi erano che le democrazie liberali.

Quella massa che l’ebreo Sigmund Freud, sulla scia di Friedrich Nietzsche, considerava “un gregge docile che non può vivere senza un padrone”, e “talmente assetata di obbedienza da sottomettersi istintivamente a chiunque se ne proclami padrone”, oggi sfila inchinandosi a buona parte dei media occidentali e alla loro narrativa storicamente avversa alla società liberaldemocratica e capitalistica, società di cui gli ebrei sono considerati un’icona, mentre la famosa sentenza di Karl Marx, un altro ebreo, secondo cui Die Religion ist das Opium des Volkes (la religione è l’oppio dei popoli) per i novelli sedicenti marxisti islam-comunisti di oggi sembra non potersi applicare all’islamismo più aggressivo ed estremo, che si serve dei propri civili in un modo non meno cinico di quello con cui Vladimir Putin si serve del popolo russo e di ogni altro popolo assoggettato dal suo impero.

In questo scenario fatto di narrative distorte e di propaganda filorussa e filoiraniana, nutrito quotidianamente da una propaganda islam-comunista sempre più aggressiva e arrogante, il tentativo di fare dell’Europa e dell’Occidente una nuova grande Palestina da islamizzare progressivamente si scontra però con la resistenza di Israele e del popolo ebraico, ancora una volta chiamato a difendere i valori su cui si fonda l’intera civiltà occidentale, ivi inclusi quelli cristiani, che sono purtroppo lasciati sempre più spesso in balia di letture irresponsabili e fuorvianti da una Chiesa cattolica incerta e divisa, che potrà ritrovare il suo ruolo storico solo se saprà ergersi di nuovo a difesa di quella libertà di coscienza su cui si fonda ogni autentica fede cristiana e democratica.

Aggiornato il 08 ottobre 2025 alle ore 10:40