
Quale è il dilemma delle democrazie “dronate”, perché così risvegliate dopo 80 anni di letargo, al suono silenzioso e letale delle guerre ibride e dei droni-farfalla senza impronte sulle ali? La sostanza dell’attuale conflitto asimmetrico tra noi e le autocrazie (con particolare riferimento a Russia e Cina, ormai arcinemici dell’Occidente, almeno a parole) è il seguente: qualunque cosa facciamo per reagire alle loro provocazioni, c’è il fondato timore di dover fronteggiare a casa nostra l’intifada mediatica dei social, venendo con ogni probabilità lapidati dalle nostre opinioni pubbliche e dal mainstream. Pertanto, a proposito del sorvolo sui nostri territori di droni senza carta di identità, abbiamo un problema di risposta multipla nei confronti dei loro anonimi mandanti. Infatti, se rispondiamo per le rime, di sicuro verremmo accusati di “overreaction” alla israeliana. Viceversa, se facciamo finta di nulla, non potremo che perdere credibilità agli occhi del nostro avversario. E se poi osassimo anche noi immergerci con tutti i crismi nella “grey zone” della guerra ibrida, preparando un esercito di milioni di cyberwarrior (come hanno già fatto Russia e Cina) per ricambiare i nostri avversari con una cyberwar superiore alla loro, in molti ci direbbero che vogliamo provocare uno scontro senza fine! E, quindi: come si fa a stare dalla parte della ragione? Anche perché, come alleati che non riescono a trovarsi mai d’accordo su nulla, dobbiamo vedercela con il nostro ingombrante e reticente azionista di maggioranza nella Nato, ovvero con gli Usa.
Per cui non è detto che quel benedetto articolo 5 di mutuo soccorso, previsto nel Trattato Atlantico e che rimane discrezionale per tutti gli Stati membri, funzioni alla prova dei fatti, dato che oggi l’America di Donald Trump è restìa a prendere dei rischi che possano condurla a un conflitto aperto con Mosca o Pechino. Eppure per noi europei, dovendo garantirci la massima deterrenza non-nucleare, è di importanza vitale scoprire “come” rispondere alle provocazioni aeree di Vladimir Putin, poiché siamo tutti convinti, malgrado l’anonimato, che le impronte digitali sui droni abbattuti siano proprio le sue! Per non dire dei Mig sconfinanti, che parlano chiaro in tal senso. Il fatto che più ci sconvolge, però, è la capacità di mimesi di chi usa la fionda e lancia il sasso, per poi nascondere la mano che l’ha scagliato. Infatti, da quel che si sa, russi e cinesi sono abilissimi nel camuffamento di navi civili apparentemente innocue (un peschereccio, un mercantile), che invece rappresentano uno strumento avanzato di offesa vero e proprio, destinato a operare indisturbato al limite delle acque territoriali delle nostre Nazioni. Battelli civili che possono trasportare sia flotte di droni nelle loro stive, sia installare a bordo strumentazioni iper-sofisticate di Ew (“Electronic warfare”), o di disturbo elettronico, in grado di interferire nei segnali radio e nelle frequenze Gps, per la guida da remoto di missili e droni. In acque internazionali (soprattutto per navi battenti bandiere di comodo), non c’è modo per noi di violare impunemente il diritto internazionale, abbordando i vascelli sospetti, o dirottandoli verso porti alleati.
Poi, all’interno del nostro schieramento ci sono dei frenatori professionisti, come la nuova Germania di Friedrich Merz, che dicono, sulla base di una ragionevole “proporzionalità” della risposta: “non cadiamo nella trappola dell’escalation”, magari, abbattendo qualche caccia russo che fa il finto sordo. Per cui alla fine si è convinti che basti un bacio d’ala per imporre all’intruso di riprendere l’aerovia corretta, dato che per ora i Mig risultano armati di missili aria-aria e, quindi, non costituiscono una minaccia per le postazioni di terra. Così, poiché l’ordine di abbatterli è di esclusiva competenza del comando alleato che vede violato il proprio spazio aereo, il problema semmai si pone a seguito dell’intervento dell’aviazione di un altro Paese membro, perché in questo caso occorre agire di concerto. Però, bisogna sempre ricordare che cosa accadde al confine turco-siriano, quando nel novembre 2015 un F-16 turco abbatté un Sukhoi Su-24M russo, provocando una crisi internazionale, cui mise fine con una lettera di scuse lo stesso Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Cosa che, se si ripetesse nei nostri cieli, di sicuro non accadrà (visto che stiamo sostenendo militarmente l’Ucraina invasa dell’esercito russo), costringendo così il Presidente Usa a mediare in prima persona, per convocare in tutta fretta un tavolo di conciliazione Nato-Russia, dando un’occasione d’oro a Putin per imporre le sue condizioni sulla fine del conflitto in Ucraina e sulla sicurezza in Europa.
In questo gioco di spie e contro-spie ci potrebbe essere l’incidente casuale, com’è accaduto nel 2022, quando un pilota russo, avendo ricevuto un messaggio ambiguo dalla sua base di controllo, lanciò due missili per abbattere sul Mar Nero un aereo spia inglese. Fortuna volle che il primo missile non colpì il bersaglio, mentre un secondo andò perso per malfunzionamento. Cosa che di certo non scoraggiò i russi dal creare ulteriore disturbo agli aerei alleati che operavano nell’area. È ovvio, quindi, che quando più aerei si trovano contemporaneamente in volo per missioni di guerra, maggiore è il rischio di incidenti involontari di questo tipo. Di recente, l’Europa (sempre assai tardivamente) ha deciso un’accelerazione dei suoi piani di difesa, per la costruzione di una “barriera antidroni” (mettendosi così nello schema infinito del cat-and-mouse come la guerra russo ucraina insegna), che integra vari sistemi d’arma per rilevare e intercettare i droni. Iniziativa quest’ultima verosimilmente non sgradita a Putin, visto che questo tipo di investimento sottrarrebbe significative risorse alle forniture di armi europee all’Ucraina. Anche se, una sostanziale quota-parte di questa nuova spesa potrebbe confluire nell’industria avanzata dei droni di Kiev, per la costruzione di nuovi stabilimenti industriali. E tutto ciò anche ai fini della messa a punto di droni a lunga distanza ed elevato paylod, per colpire molto in profondità in Russia installazioni militari, impianti energetici e fabbriche di armi.
Il sorvolo recente di droni russi sulla Danimarca avrebbe proprio il significato di un avvertimento trasversale, dato che Copenaghen si è detta disponibile a ospitare fabbriche di armi ucraine all’interno del suo territorio, come la Fire Point, che produce i missili ucraini Flamingo a lungo raggio, e intenderebbe installare all’interno di una base aerea danese un proprio sito di produzione di combustibile solido per i suoi razzi. Ed è proprio questo tipo di obiettivo che Putin di sicuro potrebbe colpire con salve di missili e incursioni aeree, accusando la Danimarca, e quindi la Nato, di “intervento diretto” nella guerra russo-ucraina, Con l’ovvia conseguenza di scatenare un conflitto aperto Europa-Russia. Ora, a quel punto, quanti giovani (Pro-Pal) europei sarebbero disposti a morire per Kiev, come accadde molto tempo fa per quelli che si rifiutarono di “Morire per Danzica”? Partita vinta per Putin. Ci potete scommettere!
Aggiornato il 07 ottobre 2025 alle ore 10:45