
L’ottimismo del presidente americano e della stampa internazionale fanno pensare in un cambio di passo. Donald Trump continua a dettare il ritmo della complessa partita diplomatica sul piano di pace per Gaza, esercitando pressioni dirette sia su Benjamin Netanyahu sia su Hamas, nel giorno dell’inaugurazione dei negoziati a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Il tycoon, però, assicura che i colloqui “stanno andando bene” e che serviranno “probabilmente un paio di giorni” per ottenere risultati concreti. Tutto lascia intendere che l’accelerazione riguardi lo scambio dei prigionieri, nodo essenziale per proseguire il processo negoziale. Secondo una fonte di Hamas citata da Al-Arabiya, i terroristi palestinesi avrebbero già avviato il recupero dei corpi degli ostaggi deceduti, chiedendo “la cessazione dei bombardamenti per completare l’operazione”. La Croce rossa internazionale, intanto, si prepara a svolgere un ruolo logistico con una serie di incontri preliminari.
Il piano di Trump per la Striscia di Gaza, presentato come una soluzione globale, è stato definito dal presidente americano “un ottimo accordo per Israele e per tutto il mondo arabo, il mondo musulmano e il mondo intero”. In un’intervista alla Cnn, The Donald ha lanciato un avvertimento diretto ad Hamas, che rischierebbe una “distruzione completa” se rifiutasse di cedere il potere e il controllo di Gaza. Tuttavia, pur dichiarando che “non abbiamo bisogno di flessibilità perché praticamente tutti sono d’accordo”, ha lasciato intendere una possibile apertura: “Ci saranno sempre alcuni cambiamenti”, ha riconosciuto prima della cerimonia per i 250 anni della Marina Usa a Norfolk, in Virginia. Trump ha anche assicurato che “Bibi è d’accordo” a interrompere i bombardamenti e sostenere il piano americano, anche se, secondo Axios, avrebbe dovuto insistere per ottenere la sua adesione. Fonti vicine all’amministrazione americana riferiscono infatti di una telefonata tesa tra i due leader, durante la quale Trump avrebbe rimproverato Netanyahu per la sua reazione fredda alla risposta di Hamas: “Non capisco perché sei sempre così fottutamente negativo. Questa è una vittoria. Accettala”.
A rafforzare la posizione di Washington è intervenuto il segretario di Stato Marco Rubio, che ha sollecitato Israele a fermare i raid poiché “non si possono rilasciare gli ostaggi nel bel mezzo di un attacco”. Rubio ha precisato che Trump “vuole vedere i risultati velocemente. Non è qualcosa che può trascinarsi. Non possiamo essere qui fra tre settimane ancora a discutere”. La prima fase dei colloqui – iniziata oggi – riguarderà la “logistica” per il rilascio dei 48 ostaggi israeliani (20 dei quali sarebbero ancora in vita), in cambio di 250 ergastolani palestinesi e 1.700 detenuti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre. La seconda fase, centrata sul disarmo di Hamas e la futura governance della Striscia, sarà “più difficile”, ma il movimento palestinese intende collegare le due questioni, un approccio che Israele rifiuta categoricamente. “Finché non verrà rispettato il primo punto, il rilascio di tutti gli ostaggi, vivi e morti, non passeremo agli altri punti”, ha ribadito il primo ministro di Tel Aviv.
Hamas, dal canto suo, ha dichiarato di essere “molto interessato a raggiungere un accordo per porre fine alla guerra e avviare immediatamente il processo di scambio dei prigionieri in base alle condizioni sul campo”. Tra le richieste figurano, secondo il canale saudita Asharq, il ritiro delle forze israeliane alle posizioni occupate prima dell’accordo di gennaio, la sospensione temporanea delle operazioni aeree e dei droni durante i rilasci e per tutta la durata dei negoziati, che potrebbero protrarsi per una settimana o più. I colloqui affronteranno anche i criteri per la liberazione dei detenuti palestinesi, con Hamas che propone il principio di anzianità, che includerebbe figure di spicco come Marwan Barghouti, Ahmad Sa’adat, Ibrahim Hamed, Hassan Salameh e Abbas Sayyed, tutti esclusi da Israele.
Netanyahu mantiene la linea dura sul disarmo di Hamas e sulla smilitarizzazione della Striscia, dove Gaza City è ormai pressoché deserta, con oltre 900mila civili evacuati. Finora, tuttavia, non ha dato segnali di disponibilità a un ritiro militare completo, come previsto nel piano di Trump e richiesto dagli Stati arabi e musulmani che, in una dichiarazione congiunta, hanno espresso sostegno all’iniziativa americana rilanciando la prospettiva della soluzione a due Stati, un’ipotesi fantasiosa con ancora Hamas a capo di Gaza.
Aggiornato il 06 ottobre 2025 alle ore 14:52