
Un altro chef-d’oeuvre dell’Eliseo, che continua a vedere primi ministri cadere come mosche. A meno di 12 ore dalla formazione del Governo, Sébastien Lecornu – nominato da Emmanuel Macron un mese fa per tentare di approvare la manovra finanziaria dopo la caduta, a inizio settembre, dell’ex premier François Bayrou – ha rassegnato le proprie dimissioni. Una crisi lampo che segna un primato nella storia della Quinta Repubblica: un esecutivo nato la sera e dissoltosi il mattino successivo. “Non c’erano le condizioni per restare primo ministro”, ha ammesso Lecornu, in una breve dichiarazione dopo l’annuncio delle dimissioni, lamentando che i partiti abbiano “fatto finta di non capire quanto” la sua decisione “di non ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione rappresentasse una rottura profonda” rispetto ai governi precedenti. Che, sfortunatamente per l’ex premier, sono stati identici a quello annunciato ieri sera. La scelta di rinunciare allo strumento più controverso della Carta – che consente di approvare una legge senza il voto parlamentare – era stata interpretata come un gesto di discontinuità, ma ha finito per isolarlo politicamente.
La reazione delle opposizioni non si è fatta attendere. “Siamo alla fine del cammino, la farsa è durata abbastanza”, ha attaccato la leader del Rassemblement national, Marine Le Pen, che insieme al segretario Jordan Bardella ha rilanciato la richiesta di sciogliere l’Assemblée nationale e tornare al voto anticipato. Ancora più radicale La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che invoca la destituzione del presidente Emmanuel Macron. Determinante nel collasso del nuovo governo è stato però l’atteggiamento de Les Républicains (Lr), i neogollisti, fino a ieri alleati dell’Esecutivo. “Non potevamo offrire un ultimo giro di pista” ai macroniani, ha dichiarato il vicepresidente di Lr François-Xavier Bellamy, aggiungendo che il suo partito “non ha nulla da temere da uno scioglimento” del Parlamento.
A inasprire i rapporti tra Lr e l’Eliseo sarebbe stato, secondo fonti parlamentari, il ritorno a sorpresa di Bruno Le Maire al ministero della Difesa dopo sette anni trascorsi all’Economia (2007-2024). Ex repubblicano passato con Macron nel 2017, Le Maire è visto da molti nel suo vecchio partito come il principale responsabile della deriva dei conti pubblici e del recente downgrade di Fitch. Ulteriore motivo di scontento, la sproporzione nella nuova squadra di governo: 10 ministri provenienti da Renaissance, il partito di Macron, contro soli quattro Lr. Una composizione giudicata in netto contrasto con lo spirito di “rottura” proclamato da Lecornu al momento dell’insediamento. Furioso per la distribuzione delle cariche, il presidente dei Républicains e ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, aveva convocato per la mattinata un consiglio strategico per valutare l’uscita dal governo appena nato. Una mossa che, secondo diversi osservatori, ha spinto Lecornu ad anticipare i tempi e presentare le dimissioni prima che la crisi esplodesse ufficialmente.
Le opposizioni di destra e sinistra avevano già bollato l’esecutivo come un governo “fotocopia” del precedente, con 12 dei 18 ministri provenienti dalla squadra Bayrou, sfiduciata a fine estate. Nominato il 9 settembre con il difficile mandato di ricomporre una maggioranza, Lecornu avrebbe dovuto presiedere il suo primo Consiglio dei ministri oggi alle 16. Ma adesso la parola torna di nuovo a Macron, che è stato di recente visto passeggiare, solitario, sul lungo Senna, alle prese con il telefonino. E con il terzo premier a cadere in 12 mesi, dopo Michel Barnier e François Bayrou, travolti entrambi da un’Assemblea nazionale paralizzata, frammentata in tre blocchi inconciliabili e ormai incapace di governare la Francia.
Aggiornato il 06 ottobre 2025 alle ore 13:40