Giornalisti o spie russe? Ombre su Vienna

Una recente indagine della testata austriaca Der Standard ha sollevato il velo su un’operazione che, dietro la facciata del giornalismo, nasconde i tratti inconfondibili dello spionaggio, rivelando come Mosca continui a muoversi in Europa servendosi della maschera dell’informazione. Il teatro dove il tutto ha luogo è Vienna, la città che in Occidente più di ogni altra è divenuta palcoscenico privilegiato dei servizi segreti russi: già durante la Guerra fredda, e oggi ancor più con il conflitto in Ucraina che ha trasformato l’Europa in un campo di scontro silenzioso. È qui che, nell’estate del 2024, l’Austria aveva finalmente deciso di reagire espellendo due presunti corrispondenti di Tass, Ivan Popov e Arina Davidyan, accusati di lavorare in realtà per l’intelligence. Sembrava un colpo significativo, un segnale di fermezza, ma la Russia non si è fatta cogliere impreparata: nel giro di poche settimane al loro posto compaiono due nuovi nomi, Olga Kukla e Maksim Cherevik. Ed è proprio qui che la vicenda rivela il suo lato oscuro. Kukla e Cherevik vengono presentati come giornalisti, ma i loro profili professionali sono un buco nero: nessuna esperienza reale in redazione, nessuna produzione giornalistica significativa, nessuna carriera credibile che giustifichi un incarico a Vienna.

Kukla ha svolto uno stage presso le compagnie del gas Gazprom Geologorazvedka e Transneft Research Institute, ha conseguito un master all’Università di Lipsia e in seguito ha lavorato per Novatek. Non c’è traccia di un suo lavoro alla Tass o in qualsiasi altro ambito giornalistico prima di essere assegnata a Vienna. Cherevik, dopo la laurea, svolse uno stage presso Rosneft. Successivamente lavorò come corrispondente della Tass a Pechino, ma durante la sua permanenza in Cina pubblicò soltanto quattro articoli, prima di essere richiamato a Mosca. In quell’occasione riuscì comunque a farsi notare grazie a un’intervista in cui affermò: “Alcuni media fabbricano costantemente informazioni sui cosiddetti problemi dei diritti umani in Cina, ma durante il mio viaggio mi sono convinto che non sia vero”. Eppure entrambi vengono inviati dalla Tass nel cuore di Vienna, città che ospita l’Onu, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Osce, una delle piazze più sensibili del pianeta. Come spesso accade nel mondo dello spionaggio, a tradire Kukla e Cherevik è stato un dettaglio banale: la passione per la pizza.

Durante il loro addestramento a Mosca, Olga Kukla e Maxim Cherevik ordinarono pizze e bevande per ben nove volte nello stesso appartamento, situato in un grattacielo di via Tarusskaya 22, Edificio 3. Non un palazzo qualsiasi: costruito nel 2012, ospita l’unità principale dell’Svr, il Servizio di Intelligence Estero (unità 28178). Conosciuto dai servizi occidentali come “kukuška”, il “cuculo”, è una delle basi dove l’intelligence russa addestra i futuri agenti sotto copertura, formandoli soprattutto nelle lingue straniere. Più che un alloggio, una vera e propria fucina di spie. Ovviamente, non c’è solo questo. Ad inchiodare Cherevik ci sono anche i tabulati telefonici. Mostrano che, prima del suo incarico in Austria, fosse in contatto diretto con Svetlana Strelkovskaya, docente dell’Accademia dell’Svr specializzata proprio nei Paesi di lingua tedesca. Il suo profilo non lascia dubbi sulla reale natura della missione di Cherevik in Austria. Kukla e Cherevik, fedeli alla loro copertura, continuano a firmare per Tass articoli innocui su eventi culturali e iniziative della comunità russa a Vienna. Una facciata insospettabile, dietro cui si cela un’operazione di intelligence di ben altra portata.

L’inchiesta rivela come si tratti di un gioco antico ma ancora efficace: già ai tempi del Kgb, l’agenzia Tass era la copertura preferita per infiltrare agenti, consentendo loro di presentarsi come cronisti e ottenere accesso a conferenze, ambasciate e istituzioni internazionali. Oggi il copione è lo stesso, aggiornato ma invariato nella sostanza. Questa inchiesta ha confermato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che la rete delle spie russe non si è mai interrotta: il filo resta intatto e Vienna non è soltanto un luogo simbolico, ma un nodo operativo vitale della macchina dello spionaggio di Mosca. Quella che appare come una semplice rotazione di corrispondenti si rivela in realtà come l’ennesima dimostrazione di come Mosca usi il giornalismo come arma e copertura, piazzando finti reporter per mantenere occhi e orecchie dentro le capitali occidentali.

Non è una coincidenza, non è un errore amministrativo: è una strategia pianificata, un tassello di una guerra silenziosa che si combatte non solo sul campo ma anche nelle redazioni, nei palazzi e negli appartamenti segreti di Vienna. L’inchiesta lo dimostra con prove concrete, tabulati, incroci, testimonianze: dietro le penne di Tass non si nascondono giornalisti, ma agenti. Non è un caso che il presidente Vladimir Putin conferisca al personale della Tass onorificenze e medaglie quasi ogni anno. L’anno scorso, 34 persone hanno ricevuto riconoscimenti. È stato curioso vedere come “alcuni dei giornalisti premiati si siano messi sull’attenti, come soldati”, ha detto uno dei presenti alla cerimonia. La capitale austriaca, ancora una volta, si conferma il laboratorio perfetto per le operazioni di un Cremlino che non ha mai smesso di giocare la sua partita più antica: infiltrare, manipolare, influenzare, con ogni mezzo possibile.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 03 ottobre 2025 alle ore 10:17