Trump “Salvador mundi”: la Flotilla arenata

Al solito, hanno avuto torto i denigratori di Donald Trump. Sarà un duro colpo, per Flotilla e i pro-Pal disseminati nel resto del mondo, denunciare come “genocida” il progetto in 20 punti per mettere fine alla guerra a Gaza, condiviso da Benjamin Netanyahu e dai più importanti Paesi arabi mediorientali, in cui vengono disegnati i futuri scenari istituzionali, politici e finanziari per la ricostruzione della Striscia. Il piano (che la mia generazione attendeva da 60 anni!) non prevede né ora, né in un futuro prossimo, uno scenario di resettlement e, tantomeno, di dislocazione forzata dell’attuale popolazione palestinese. Dispiace (nemmeno un po’, ovviamente!) per coloro che si sono avventurati in barche milionarie, o scontrati “eroicamente” un po’ in tutte le piazze italiane e occidentali con i reparti antisommossa, devastando nella loro furia (gratuita) interi quartieri urbani e ferendo rappresentanti delle forze dell’ordine privi di colpa.

Come faranno da oggi in poi tutti costoro, privati della vetrina mediatica mondiale, in cui con poca fatica e molta spesa (con i denari di chi?) pensavano di andare a “combattere” contro Israele, senza mai nemmeno per un istante rischiare un solo capello impugnando le armi a fianco di Hamas? Cosa che di certo avrà fatto rivoltare nella tomba “CheGuevara, borghese benestante come tutti loro, ma almeno tanto coraggioso da mettere in gioco la sua vita per la libertà dei popoli (veramente!) oppressi. Ora, l’Europa in tutto questo deve avere un moto di orgoglio perché il progetto originale è dell’ex premier inglese Tony Blair e, per chi avesse tempo e pazienza, gli istituti internazionali di transizione, così come sono stati progettati, rappresentano quanto di più avanzato sia stato elaborato, dal 1948 a oggi.

Sarà bene, quindi, approfondire in sintesi il tutto, partendo proprio da quanto anticipato nei giorni scorsi dal Times of Israel nella sua edizione del 18 settembre scorso. La proposta Blair prevede, a seguito di una decisione conforme del Consiglio di sicurezza Onu, l’insediamento di una Autorità internazionale di transizione per Gaza (“Gita” nell’acronimo inglese), cui faranno riferimento fondamentali articolazioni politico-organizzative correlate alla Gita, tra cui una “Property rights preservation unit”. Quest’ultima rappresenta una sorta di autorità di garanzia, destinata ad assicurare il diritto al ritorno, e il mantenimento delle proprietà, ai gazawi che si allontaneranno volontariamente dalla Striscia. L’obiettivo primario del Piano Blair è di neutralizzare il gruppo terrorista di Hamas ricorrendo a mezzi non militari, sintetizzati con l’acronimo inglese Ddr: “disarmo, smobilitazione e reintegrazione”. L’idea condivisa dalla diplomazia americana e dai suoi maggiori alleati arabi ipotizza, infatti, che Hamas non debba più esistere come elemento armato, mentre occorre coinvolgere pienamente Riyad nel processo di pace, garantendo un percorso graduale alla creazione di uno Stato palestinese. Sarà bene entrare in qualche ulteriore dettaglio tecnico, per capire come funzionerà nel tempo il piano Blair-Trump per la pacificazione di Gaza.

Punto primo: Gita farà funzione di “suprema autorità politica e legale a Gaza per tutto il periodo di transizione”. Si tratterà di un organismo collegiale composto da sette/dieci membri, e dovrà obbligatoriamente includere: una personalità palestinese di alto livello (un noto uomo d’affari o un esperto nel settore della sicurezza); un alto funzionario Onu di grande esperienza; figure di primissimo piano a livello internazionale, particolarmente esperte nell’amministrazione di grandi gruppi privati o in campo finanziario; una robusta rappresentanza di esponenti del mondo musulmano, per dare la massima forza alla legittimazione regionale e alla credibilità culturale del progetto. Al board di Gita spetterà: assicurare la direzione strategica; emanare decisioni vincolanti; approvare atti normativi e nomine amministrative; sottoporre un rapporto periodico al Consiglio di sicurezza Onu (“Consigliotout-court nel seguito) sulle attività svolte. Il responsabile nominato a presiedere il board dovrà avere il consenso internazionale e ricevere l’avvallo del Consiglio. Il presidente del Gita potrà: assumere impegni esterni e diplomatici; fissare la direzione politica del board, in stretto coordinamento con l’Ap (Autorità palestinese). L’ufficio di supporto del presidente, denominato “Segretariato strategico”, potrà avere uno staff di non più di 25 persone. La protezione del presidente e del suo staff verrà garantita da un Executive protection unit, che si avvarrà di personale qualificato in provenienza dal mondo arabo e dai donatori internazionali.

Il Secretariato esecutivo svolge un ruolo generale di supporto amministrativo del Gita e funziona da braccio esecutivo delle sue decisioni, sovrintendendo direttamente alle attività dell’Autorità esecutiva palestinese (Pea), laddove quest’ultima è configurabile come un comitato indipendente di tecnocrati palestinesi, responsabile dell’amministrazione di Gaza dopo la fine della guerra. Una parte rilevante del piano è riservata ai poteri di coordinamento dell’Autorità palestinese, in cui un gruppo di cinque commissari si relazionerà direttamente al Segretariato esecutivo, supervisionando altrettante aree strategiche della governance di Gaza, quali: gli affari umanitari; la ricostruzione; la legislazione e le questioni legali; la sicurezza; il coordinamento dell’Ap. Quest’ultimo commissariato avrà un ruolo molto delicato, dovendo garantire che le decisioni della Gita e della Ap siano possibilmente allineate e consistenti, con quello che potrà essere un giorno il mandato dell’Ap in un territorio palestinese finalmente riunificato. Ulteriore compito del commissario per l’Ap sarà di conciliare lo sforzo riformatore dell’Autorità con le aspettative dei donatori internazionali, delle istituzioni finanziarie e dei partner arabi che si sono impegnati nello sviluppo istituzionale della Palestina. Questa configurazione all’apparenza complicata dei rapporti tra Gita e Ap serve a garantire la sostanza delle riforme volute dal piano Blair-Trump, per cui non viene fissata una scadenza di mandato per il Gita, ai fini del definitivo trasferimento dei suoi poteri all’Ap, basandosi piuttosto su di un processo di performance, per cui non sono ammesse riforme di pura facciata o “cosmetiche”.

Un’ulteriore snodo fondamentale del piano è rappresentato dal Gaza investment promotion and economic development authority, che si occuperà di investimenti sicuri per conto della Gita e della ricostruzione di Gaza. Si tratterà di un’Autorità di tipo commerciale, diretta da professionisti, incaricata di selezionare progetti nei quali investire, che diano garanzie in termini di rendimenti finanziari. Una struttura separata dovrà poi provvedere ad assicurare e distribuire le donazioni governative. Altro organo fondamentale, che risponde direttamente alla Gita e al Segretariato esecutivo, è la Palestinian executive authority (Pea), che si interfaccerà direttamente con la cittadinanza palestinese nell’erogazione di servizi da parte di una amministrazione imparziale e professionale. La Pea sarà diretta da un amministratore delegato nominato dal Gita e sovrintenderà all’attività di vari ministeri tecnocratici, inclusi pubblica istruzione, sanità, finanza, infrastrutture, affari giudiziari e welfare. Le varie municipalità palestinesi che forniscono servizi si rapporteranno al Pea.

Alla sicurezza di Gaza dovrà provvedere una forza di polizia di funzionari civili per le esigenze di ordine pubblico, con divise regolari e reclutati su base nazionale. Un board giudiziario presieduto da un giurista arabo supervisionerà i tribunali di Gaza e l’ufficio del procuratore, nonché la Property rights preservation unit (che garantisce i diritti di proprietà dei fuoriusciti gazawi). A supporto della forza civile di polizia è prevista una “International stabilization force” (Isf) multinazionale di sicurezza, dotata di mandato internazionale, incaricata di provvedere alla stabilità strategica e operazionale a Gaza durante il periodo di transizione, in cui Hamas non dovrà svolgere più alcun ruolo. All’Isf spetterà di prevenire l’insorgenza di gruppi armati, reprimere il traffico d’armi e neutralizzare minacce asimmetriche all’ordine pubblico e alle funzioni istituzionali. Complicato, ma potrebbe davvero funzionare.

Aggiornato il 01 ottobre 2025 alle ore 11:42