Idf: continua avanzata a Gaza City

L’avanzata a Gaza City continua. Nell’ambito dell’operazione Carri di Gedeone 2, le Forze di difesa israeliane (Idf) dichiarano di aver neutralizzato miliziani e smantellato infrastrutture ritenute operative per le organizzazioni terroristiche. Inoltre, lunedì scorso un sito di produzione di armi collegato al quartier generale di Hamas a Gaza City è stato bersaglio di un attacco. Secondo i comandi, all’interno della struttura si trovavano membri di Hamas intenti a fabbricare esplosivi destinati a colpire le truppe israeliane; le esplosioni secondarie registrate sul posto sono state citate come conferma della presenza di ordigni. Nei due giorni – ieri e oggi – successivi l’aeronautica e l’artiglieria avrebbero colpito oltre 150 obiettivi riconducibili ad Hamas in diversi punti della città, a sostegno delle forze che operano sul terreno. L’Idf ha diffuso un filmato che ritrae l’attacco a un deposito di armi e le successive detonazioni secondarie; inoltre riferisce di circa 50 obiettivi colpiti durante la notte nella Striscia, la maggior parte a Gaza City, per un totale – secondo quanto comunicato – di 140 bersagli nelle ultime operazioni. Tra gli obiettivi indicati dall’esercito figurano tunnel, edifici usati da gruppi armati, cellule operative e altre infrastrutture, ma i dettagli sull’intensificazione dell’offensiva nella più grande area urbana della Striscia restano perlopiù riservati.

Nelle ultime ore le Idf hanno anche annunciato l’apertura di una seconda via di evacuazione lungo Salah al-Din Street, nella porzione meridionale della Striscia. Il nuovo corridoio – reso noto in arabo dal portavoce militare Avichay Adraee su X – sarà operativo da mezzogiorno di oggi fino allo stesso orario di venerdì prossimo, con l’obiettivo di consentire la fuga di civili da Gaza City mentre le truppe avanzano verso il centro urbano. Fonti locali riferiscono tuttavia che i bombardamenti sulla città e in altre aree della Striscia sono proseguiti durante la notte, con vittime e feriti tra la popolazione. Sull’entità degli spostamenti interni, l’Idf stima che circa 400mila palestinesi abbiano già lasciato Gaza City per rifugiarsi in altre zone della Striscia; la cifra va inserita nel quadro di una popolazione – sottolinea il rapporto militare ripreso dal Times of Israel – di circa un milione di residenti prima dell’avvio della grande offensiva. Ieri il premier Benjamin Netanyahu aveva parlato di un esodo pari al 40 per cento degli abitanti: negli ultimi giorni le evacuazioni sarebbero dunque accelerate, raggiungendo ritmi dell’ordine di decine di migliaia di persone al giorno, secondo le stime diffuse dall’esercito.

 

ISRAELE: PAURA PER LA SORTE DEGLI OSTAGGI

La tensione sul fronte interno cresce all’ombra della preoccupazione per i cittadini presi in ostaggio. In tutto il Paese adolescenti provenienti da decine di scuole hanno manifestato per chiedere un accordo che porti alla liberazione degli ostaggi. Naomi, parente dell’ostaggio Dror Or, ha detto a Haaretz: “Oggi, nel 712° giorno di guerra e poco prima di Rosh Hashanah, migliaia di giovani sono scesi in piazza con un appello chiaro. Non dimenticheremo gli ostaggi”. L’Hostages and Missing Families Forum, che raccoglie la maggior parte dei familiari degli ostaggi, ha proclamato lo “stato di emergenza”: nella notte è stato allestito un accampamento di tende davanti alla residenza del premier Netanyahu, in segno di protesta contro l’ingresso dei tank a Gaza City. I familiari non intendono spostarsi e invitano la popolazione a unirsi alla mobilitazione. “Rimanete con noi”, recita l’appello pubblico del Forum, “è fin troppo chiaro! Non ci sarà un’altra occasione per salvare i nostri fratelli e sorelle che soffrono nei tunnel da 711 giorni. Non possiamo sacrificare gli ostaggi. Insieme salveremo Israele”.

In mancanza di risposte giudicate efficaci dal governo dello Stato ebraico, parte dei familiari rivolge il proprio appello all’alleato statunitense. È chiaro il riferimento a Washington nelle parole di Carmit Palty Katzir, che ricorda le vittime tra i propri cari: “Presidente Trump, siamo grati per il suo continuo supporto. Oggi ci rivolgiamo a lei: il nostro primo ministro Netanyahu non ascolta le nostre richieste di salvare gli ostaggi e porre fine a questa guerra, ma ascolterà lei! Lo chiamiamo al tavolo delle trattative per un accordo che riporti tutti a casa! 42 ostaggi sono stati rapiti vivi e assassinati in cattività. 42 che avrebbero potuto essere salvati! Non possiamo permettere che altri ostaggi diventino le prossime vittime”. Carmi­t Palty Katzir prosegue con un’accusa dolorosa e diretta: “Mio fratello Elad è stato brutalmente assassinato durante la prigionia, come conseguenza diretta delle pressioni militari. Un accordo avrebbe potuto salvarlo. Avrebbe potuto essere qui con noi. Questi ostaggi sono in grave pericolo, usati come scudi umani a Gaza City. La nostra pressione militare mette a rischio anche le loro vite. Gli ostaggi vivi potrebbero essere uccisi e i deceduti potrebbero scomparire per sempre! Sono passati due anni. La pressione militare non ha salvato mio fratello e non è riuscita a riportarli tutti a casa”, ha chiosato la donna riferendosi all’alleato americano.

Aggiornato il 17 settembre 2025 alle ore 15:50