Gli “eroi” di Putin

Quando la Russia ha lanciato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, il Cremlino ha dipinto i suoi soldati come eroi patriottici, pronti a difendere la madrepatria. Ma oggi la realtà è ben diversa: quei soldati sono tornati trasformati in macchine di morte, abituati a uccidere, saccheggiare e terrorizzare. E ora portano la loro brutalità nelle strade e nei villaggi russi, creando paura ovunque.

In piccoli centri come il villaggio di Novaya Zarya, alcuni reduci hanno aggredito anziani e vicini durante risse alcoliche, distruggendo case e negozi. I testimoni descrivono scene di panico: finestre infrante, porte divelte, persone che fuggono in strada cercando rifugio. La violenza non si limita a scaramucce occasionali, ma diventa sistematica: chi prova a difendersi o a protestare subisce ritorsioni e l’atmosfera di intimidazione si diffonde rapidamente tra gli abitanti. A Kamenka, una rissa scoppiata in un bar ha visto veterani scagliarsi contro gli avventori con bottiglie, sedie e oggetti contundenti, causando feriti gravi. La polizia locale ha potuto intervenire solo dopo ore di caos, mentre i cittadini rimanevano intrappolati in un clima di terrore totale.

Nel villaggio di Petrovskoe, la situazione assume toni ancora più drammatici. Un gruppo di reduci ha commesso violenza sessuale su una minorenne, scatenando orrore e indignazione tra gli abitanti. Gli eventi, però, non hanno avuto spazio sui notiziari nazionali e i giornali locali hanno ridotto la vicenda a un trafiletto insignificante. La censura e la gestione mediatica creano un doppio effetto: da un lato proteggono l’immagine dei veterani come “eroi”, dall’altro negano alle comunità colpite strumenti di denuncia e consapevolezza, lasciando che la paura si diffonda senza controllo. Nelle periferie di Novoselovka, tensioni tra veterani armati e cittadini che tentavano di proteggere le proprie proprietà hanno provocato scontri violenti, con alcuni feriti e danni materiali significativi, mentre le autorità locali faticano a contenere la situazione.

Chi rientra non porta gloria, porta corruzione, dipendenze, traumi profondi e il rischio concreto di destabilizzare ogni comunità che incontra. Le azioni dei reduci non sono episodi isolati, ma fenomeni sistematici che minano il tessuto sociale: aggressioni, risse, intimidazioni e saccheggi diventano parte della quotidianità in molte zone rurali e periferiche. Non ci sono promesse di compensi, benefit o riconoscimenti che possano riparare anni di crimini e ferocia. Questi uomini sono stati temprati all’omicidio e alla brutalità e lo Stato che li ha mandati non ha più strumenti per contenerli.

Il Cremlino sembra impotente. Alcuni piani prevedono di spostare i reduci in zone remote o di offrire compensi simbolici, del tutto insufficienti a riscattare ciò che è stato fatto o a reinserirli nella società. Qualche rublo, un documento burocratico, un piccolo premio materiale: nulla che possa limitare la pericolosità dei veterani. Intanto, la polizia e le autorità locali si trovano a dover fronteggiare una realtà in continua escalation: uomini armati, addestrati alla guerra, con rancori profondi e traumi psicologici, che possono trasformare qualsiasi scontro in un episodio di violenza estrema.

La consapevolezza dei reduci è inquietante: sanno di avere la capacità di seminare distruzione ovunque vadano e ogni crimine commesso o ordinato in Ucraina ritorna con loro, pronto a manifestarsi in patria. La censura dei media russi assicura che questi episodi restino invisibili all’opinione pubblica, proteggendo la narrativa ufficiale e consolidando l’immagine dei veterani come “eroi”. Ma questa immagine è illusoria: dietro la facciata mediatica si nasconde una violenza diffusa, che destabilizza interi villaggi e periferie, alimenta il terrore e minaccia la coesione sociale.

La Russia ha generato questo inferno e ora ne teme le conseguenze. Gli uomini che una volta erano strumenti del potere diventano minacce dirette per chi li ha inviati a combattere. La violenza addestrata e sistematica mina la stabilità di intere comunità, mentre la censura e l’inerzia dello Stato permettono che questi problemi restino invisibili. Ogni rientro di reduci non rappresenta la fine della guerra, ma l’inizio di un conflitto interno fatto di paura, intimidazione e criminalità diffusa.

Ogni villaggio e città in cui tornano si trasforma in un terreno instabile: gli episodi di violenza domestica, aggressioni, saccheggi e intimidazioni si accumulano giorno dopo giorno. La guerra continua a vivere sotto forma di paura e conflitto sociale, mentre le autorità e i media rimangono incapaci o riluttanti a intervenire efficacemente. La Russia ha generato questa crisi interna e ora ne paga il prezzo: ogni crimine commesso o ordinato all’estero ritorna a casa con i veterani, minacciando la sicurezza, la stabilità e la vita quotidiana dei cittadini comuni.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 16 settembre 2025 alle ore 10:22