
“Chi tocca il welfare, muore!”. Così sembrano dire ai vari presidenti del Consiglio (transeunti) i casseur di ogni provenienza e risma, blue collar o gilet gialli che siano, e con loro milioni di cittadini francesi, che solidarizzano nel rigetto dei sacrifici necessari per sanare l’enorme debito pubblico francese. Tanto per far capire come stanno le cose, la sola riforma dell’età pensionabile, da 62 a 64 anni, per i francesi merita un vera e propria rivoluzione. Per non parlare, poi del deficit annuale che, da tempo, come quello tedesco, non rispetta i parametri di Maastricht, senza mai peraltro subire le previste sanzioni da parte di Bruxelles, con la scusa che non si poteva colpire il motore franco-tedesco dell’Ue, considerato che i loro deficit pubblici rappresentavano meno della metà di quelli rispettivi delle cicale del tempo, come Italia, Grecia e gli altri Paesi del Mediterraneo. Oggi, come tutti sanno, i titoli di Stato italiani hanno lo stesso spread di quelli francesi, un vero e proprio colpo mortale all’orgoglio gallico! La marea rosso-bruna (Rassemblement national, Rn, e La France insoumise, Fi), affossatrice di François Bayrou, con questa mossa scontata vuole a ogni costo le dimissioni di Emmanuel Macron e, in subordine, nuove elezioni legislative, destinate a inaridire drasticamente l’orto elettorale macroniano. Di conseguenza, tutti sanno che da qui a breve Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon si appresteranno a impallinare (con le finalità di cui sopra) qualsiasi candidato premier di scelta presidenziale, facendo leva sul comune spirito ferocemente antimacroniano (condiviso dalla stragrande maggioranza del popolo francese) per cui, come sempre, gli estremi si toccano. E così ai tre premier silurati negli ultimi tre anni, compreso oggi il povero François Bayrou, sfiduciato con 364 voti contrari e soltanto 194 a favore (un record assoluto!), se ne potrebbe aggiungersene un quarto.
Tra l’altro, sarà meglio, da questo punto di vista, non sottovalutare la spallata della piazza del 10 settembre che, fatte le debite proporzioni, non è molto lontana da quello che fu l’impatto destabilizzante dell’11 settembre 2001 sull’immaginario dell’America. Praticamente, nessun francese intende fare sacrifici per ridurre l’enorme deficit pubblico del proprio Paese, rifiutandosi di accettare un taglio drastico del generoso welfare transalpino, che fa dei francesi un popolo che vive ben al disopra delle proprie possibilità. Per essere un Paese “sul bordo del precipizio”, come lo ha definito il premier dimissionario, la Francia viaggia come i passeggeri del Titanic, facendo festa e protestando contro il direttore d’orchestra che vuole a tutti i costi interrompere la musica. E, come tutti ben sanno, quando affonderà (con un temibile default) non ci saranno sufficienti salvagente e scialuppe di salvataggio per tutti. La cosa che, però, continua a stupire è la latitanza delle agenzie internazionali (private!) di rating, Moody’s, Standard & Poor’s (S&P) e Fitch Ratings, che valutano la solidità finanziaria e la capacità di un emittente di far fronte ai propri debiti, fornendo così agli investitori un parametro per valutare il rischio associato agli investimenti. Ebbene, mentre in passato sono state solertissime ad abbassare la valutazione dei titoli italiani nei periodi critici, si dimostrano inspiegabilmente reticenti con quelli francesi: perché? Anche se, per la verità, Fitch si dovrebbe pronunciare a partire dal 12 settembre prossimo. Con la nuova crisi di governo in Francia, si perde di vista la regola fondamentale delle democrazie rappresentative, per cui “non spetta i francesi regolare i problemi del Parlamento, ma semmai è compito di quest’ultimo offrire soluzioni ai problemi dei francesi”.
Una parola, quando le condotte dissennate dei suoi leader prevedono proprio la messa in mora dell’Assemblée nationale, dato che il premier uscente, giocando l’azzardo della fiducia anticipata, non si è minimamente preoccupato di sondare né socialisti, né Rn prima di fare una mossa tanto sconsiderata, come nota Le Figaro. Così, ancora una volta, senza procedere a sua volta a qualsivoglia consultazione preliminare con i partiti rappresentati all’Assemblée, Emmanuel Macron ha estratto dal suo cappello a cilindro un nuovo primo ministro, Sébastien Lecornu, centrista nato, con un lunghissimo curriculum filo-macroniano. Più volte ministro e sottosegretario in questi otto anni di mandato presidenziale, ha inoltre ricoperto vari incarichi politici di rilievo a livello regionale e locale. Il neo premier è stato esponente di spicco dei Les Républicains, Lr, passando successivamente a La Republique en marche (Renaissance) di Macron. Per la cronaca, il nuovo inquilino di Matignon è contrario sia al matrimonio di persone dello stesso sesso, equiparando il comunitarismo gay all’omofobia; sia alla procreazione medicalmente assistita e all’utero in affitto. Le Monde nel 2022 lo descriveva come un politico fondamentalmente di destra “piuttosto gaullista e séguinista”, sicuramente “un liberale ed europeista che, però, si lascia irretire dalle tentazioni identitarie della destra, pur facendosi apprezzare sul suo fianco sinistro”. Come si vede, con lui l’Eliseo tenta l’ennesimo jolly nella speranza di ottenere almeno una non-sfiducia da parte della destra e di alcuni settori determinanti della sinistra parlamentare.
A soli 35 anni, Lecornu, un semplice tenente della riserva, diventa il più giovane ministro della Difesa di sempre, dalla Rivoluzione francese a oggi, e nell’aprile 2023 presenta una epocale programmazione pluriennale 2024-2030 di acquisti per gli armamenti, che prevede una spesa complessiva di 413 miliardi di euro in sette anni. In tal modo, il budget della Difesa è destinato a passare dai 32 miliardi del 2023 ai 69 del 2030, raddoppiando così l’importo del primo anno. Tra gli investimenti programmati, una quota consistente è dedicata alla dissuasione nucleare francese, mentre per gli armamenti tradizionali è prevista la costruzione di una nuova portaerei e l’ampliamento degli organici delle varie armi. Tra le azioni programmate, risalta l’innalzamento del limite d’età a 70 anni per i riservisti, oggi compresa tra i 62 e 65 anni. Questo consentirebbe all’Armée di avere 300mila soldati in forza effettiva e 100mila riservisti, mentre il bilancio dei Servizi segreti registrerebbe un aumento pari al 60 per cento. Come sottosegretario all’Energia nel secondo Governo di Édouard Philippe, Lecornu ha ricevuto la delega all’energia, decretando la chiusura di quattro centrali a carbone e l’avvio di progetti sperimentali di transizione ecologica, che hanno visto coinvolti ben 18 realtà territoriali. Insomma, un pot pourri di green e di puritanesimo conservatore, difficile da ricusare per un Parlamento che non fosse pregiudizialmente contrario alla prosecuzione dell’attuale legislatura.
Aggiornato il 10 settembre 2025 alle ore 09:46