
Il Cremlino insiste nel presentare un quadro di stabilità, con Vladimir Putin che sottolinea il basso livello di inflazione, la disoccupazione contenuta e l’aumento delle entrate non legate a petrolio e gas. Nelle sue dichiarazioni ufficiali, l’economia russa appare solida, capace di reggere alle sanzioni occidentali e di finanziare senza difficoltà la guerra in Ucraina. Ma i dati raccontano tutt’altro. Nei primi sette mesi del 2025 il bilancio federale ha registrato un deficit di 4,9 trilioni di rubli, oltre quattro volte superiore a quello dello stesso periodo del 2024. Se questa dinamica non cambierà, il disavanzo a fine anno potrebbe arrivare a 10,7 trilioni, pari al 5 per cento del Prodotto interno lordo, il livello peggiore dal 2009. La propaganda insiste sul fatto che le entrate non derivanti dal settore energetico siano aumentate del 14 per cento, presentandolo come un segnale di diversificazione dell’economia. Tuttavia, nello stesso periodo le spese sono cresciute del 21 per cento e le entrate complessive appena del 2,8 per cento, vanificando qualunque progresso. La realtà è che il bilancio non riesce a reggere l’impatto delle spese militari, che da sole costituiscono la principale causa del disavanzo.
Putin afferma che il sistema di bilancio resta stabile, ma le riserve a disposizione del governo dimostrano il contrario. La parte liquida del Fondo nazionale di previdenza è scesa sotto i 4 trilioni di rubli e garantisce copertura solo per pochi mesi. Sommando anche i crediti verso la Banca centrale, le risorse disponibili permettono di mantenere i conti in equilibrio fino all’estate del 2026. Dopo quella data, il Cremlino sarà costretto ad aumentare il debito interno o ad avviare la stampa di moneta, un passo che Putin ha sempre evitato e che contraddice l’immagine di rigore finanziario propagandata in patria e all’estero. La retorica ufficiale enfatizza la capacità della Russia di sostenere la guerra senza compromettere l’economia, ma il bilancio militare del 2025 ammonta a 13,2 trilioni di rubli, circa il doppio rispetto ai livelli di pace. A ciò si aggiungono le spese delle regioni, che potrebbero superare gli 1,2 trilioni, e i contributi delle grandi aziende statali, chiamate a finanziare direttamente battaglioni e reparti speciali. Complessivamente, la Russia spende ogni giorno oltre 22 miliardi di rubli per lo sforzo bellico, una cifra che smonta la narrazione secondo cui i costi del conflitto sarebbero “sotto controllo”. Se le spese militari tornassero ai livelli precedenti al 2022, il bilancio risparmierebbe circa 8 trilioni l’anno, ma nemmeno questo basterebbe a colmare il deficit.
Anche sul fronte della crescita economica la distanza tra propaganda e realtà è evidente. Mosca continua a diffondere previsioni di un Pil in aumento del 2,5 per cento, ma i dati ufficiali del primo semestre mostrano un incremento molto più modesto: +1,4 per cento nel primo trimestre e +1,1 per cento nel secondo. Gli economisti prevedono che già da ottobre il Paese entrerà in recessione, destinata a durare diversi trimestri. Il Governo sostiene che la produzione industriale e i consumi stiano reggendo grazie al mercato interno, ma i settori civili sono in contrazione e la crescita registrata riguarda quasi esclusivamente il comparto militare. Le entrate fiscali aumentano, ma non per una reale espansione economica: semplicemente perché la pressione tributaria viene intensificata, erodendo però la base imponibile e frenando ulteriormente lo sviluppo. Per sostenere la narrativa di un bilancio “solido”, le autorità parlano di una razionalizzazione della spesa pubblica. In realtà si tratta di tagli: la spesa sociale è stata ridotta da 9 a 6,5 trilioni di rubli e si prospettano nuove riduzioni nell’edilizia abitativa e nella tutela ambientale. Difesa e sicurezza restano intoccabili, a conferma che la priorità assoluta resta la guerra. Queste scelte vengono presentate come segni di disciplina e di efficienza, ma in concreto riducono il welfare e gli investimenti civili, minando la qualità della vita della popolazione e impoverendo ulteriormente il tessuto produttivo.
Il contrasto è quindi netto: da un lato, un Cremlino che insiste nel mostrare all’Occidente un Paese forte, resiliente e capace di finanziare indefinitamente il conflitto; dall’altro, i numeri che rivelano un bilancio in rapido deterioramento, riserve in via di esaurimento e un’economia civile in contrazione. La Russia si trova di fronte a un bivio: tagliare le spese interne, con gravi conseguenze economiche, oppure accettare di avviare una stagione di debito e inflazione. Qualunque scelta verrà compiuta, la propaganda di stabilità rischia presto di scontrarsi con una realtà molto più fragile e difficile da nascondere. Ed è proprio qui che si misura il limite strutturale della strategia di Mosca: la Russia non può permettersi di protrarre la guerra all’infinito. Ogni mese di conflitto aggiunge un fardello insostenibile ai conti pubblici e sottrae linfa vitale all’economia civile. Proseguire senza una via d’uscita significherebbe condannare il Paese a un progressivo logoramento, fino a un punto di rottura in cui la macchina economica rischierebbe non solo di indebolirsi, ma di implodere sotto il peso stesso della guerra.
Per questo motivo è fondamentale che l’Occidente non cada nella trappola della propaganda russa e non si lasci convincere da una narrazione di forza e solidità che i numeri smentiscono apertamente. Continuare a sostenere l’Ucraina sul piano economico e militare significa accelerare il momento in cui le contraddizioni interne della Russia diventeranno ingestibili. Solo mantenendo alta la pressione e negando a Mosca la possibilità di mostrarsi invulnerabile, sarà possibile ridurre lo spazio per la guerra e avvicinare la prospettiva di una sua conclusione.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
Aggiornato il 08 settembre 2025 alle ore 10:59