
Bogotà, hai detto Bogotà? No, Bruxelles: sede Nato, capitale d’Europa, capitale del Belgio, capitale dello spaccio (e che spaccio!). E quando certe pratiche diventano sempre più invasive e gli effetti collaterali si moltiplicano (sparatorie, aggressioni, morti ammazzati, proiettili vaganti, quella non più trascurabile sensazione di non essere troppo al sicuro) non resta che una sola cosa da fare. Il ministro dell’interno, Bernard Quintin, l’ha chiamato Plan grande villes per rendere le città belghe (e quindi, anche altre piazze non proprio tranquillissime come Liegi, Anversa, Charleroi) sicure, il che sta a significare, evidentemente, che non lo sono.
In particolare, a Bruxelles, il traffico di droga sembra essere sfuggito di mano. In queste ore, Quintin ha proposto il grande classico, per contrastare un’urgenza che è già emergenza. Così come accadde infatti nel 2015 contro la minaccia terrorista (poi clamorosamente messa in atto con gli attentati del 22 marzo 2016, che aprirono forti interrogativi sulla capacità delle autorità belghe, intelligence compresa, di garantire la sicurezza, soprattutto a fronte dell’esplosione all’aeroporto di Zaventem, cioè a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla sede Nato), l’idea è quella di riempire le strade di militari, che 10 anni fa non aveva impedito, tuttavia, a Bruxelles di subire gravi attentati, ma aveva quantomeno ottenuto l’effetto di ridurre il tasso di criminalità legata al traffico di droga. Dieci anni dopo, il governo federale rilancia l’imperativo del sorvegliare e punire.
Oltre all’esercito, infatti, il ministero dell’interno intende stanziare 20 milioni di euro per installare telecamere nelle zone a rischio della capitale, come i quartieri Clémenceau e Peterbos ad Anderlecht, la Gare du Nord, il parco Bonnevie a Molenbeek e il quartiere “africano” Matongé, vicino ad Avenue de la Toison d’Or, non lontanissima, tra l’altro, dalla sede del governo federale e dai palazzi delle istituzioni Ue. Il via libera per l’impegno dei soldati è arrivato in queste ore anche dal ministro della difesa, Theo Francken.
I comitati di quartiere hanno accolto favorevolmente l’intervento della politica. Il fatto che “il governo federale riconosca la propria responsabilità in questa grave crisi costituisce un significativo passo avanti”, dice a Rtbf Eric Vandezande, rappresentante delle 40 associazioni di quartiere di Bruxelles. Anche l’investimento proposto per le telecamere è accolto con favore. Tuttavia, permangono dubbi tra i cittadini proprio sulla presenza dell’esercito nelle strade e sulla mancanza di quelle risorse aggiuntive, circa 10 milioni, per favorire un miglior funzionamento della giustizia, chiesti di recente dalla procura di Bruxelles. A peggiorare la situazione è il vuoto politico. Dalle elezioni di giugno 2024 i partiti non riescono a trovare un accordo. La regione di Bruxelles-Capitale non ha un governo da oltre un anno, una roba che tuttavia da queste parti è normalissima amministrazione. “Di fronte alla gravità dei fatti − scandisce il ministro dell’interno − servono soluzioni radicali: dobbiamo fare di tutto, pur di ristabilire la sicurezza e l’ordine a Bruxelles e in tutto il Paese”.
A Ferragosto il procuratore du Roi nella capitale, Julien Moinil, ha convocato la stampa per fare il punto della situazione. Al di là dei numeri, che vedremo, la sintesi inquietante del vivere a Bruxelles è che oggi, ha ammesso, “chiunque circoli” per la capitale belga “può essere colpito da una pallottola sul parabrezza o da un pallottola vagante mentre cammina, e questo mi sembra decisamente inaccettabile”. Il riferimento è a quanto accaduto a Molenbeek, noto dall’epoca degli attentati per essere considerato un quartiere in mano all’estremismo islamico, dove una sparatoria ha coinvolto una madre e un bambino di 9 anni, usciti incolumi, ma che hanno avuto il torto di passare con la macchina nel posto sbagliato al momento sbagliato. A luglio e agosto, sono state segnalate a Bruxelles 20 sparatorie. “Cosa dobbiamo aspettare ancora, che ci siano morti innocenti per prendere le misure necessarie a smantellare questi bande?”. Evidentemente sì. Come da consuetudine, le autorità belghe si prendono il loro tempo.
È chiaro che si poteva agire molto prima, ma per troppo anni, anzi decenni, dirà Moinil, si è provato a minimizzare, anche con la collaborazione di giornali e tv locali, che non sembrano dare ancora il peso che merita a un problema che ora si “scopre” essere “il” problema di Bruxelles e del Belgio. “Ma non vorrei che si pensasse che la giustizia non faccia il suo lavoro”, si è difeso il procuratore. Dall’inizio dell’anno, infatti, 6.211 sospettati adulti e 874 minori sono stati deferiti alla procura della Repubblica. Dall’inizio delle sparatorie, più di 1.500 persone sono state incarcerate. Ci sono più di 600 persone coinvolte nella criminalità organizzata a Bruxelles, fa sapere Moinil, ma ci sono anche migliaia di potenziali lavoratori, in particolare quelli residenti illegalmente, che costituiscono una manodopera facile. “Non dobbiamo, tuttavia, credere − ammette − che 10, 20 o addirittura 30 anni di lassismo possano essere risolti in 6 mesi”. Oggi un’attività di spaccio a Bruxelles può fruttare fino a 50mila euro a settimana. Con un “movimento” così redditizio, è facile immaginare che l’affare faccia gola a tante realtà criminali, e che si passi facilmente alle vie di fatto per conquistare le piazze migliori, che significano potere e rispetto. Una guerra che anche i boss attualmente in prigione riescono a gestire dalla loro cella (“hanno accesso telefonico illimitato con Gsm, 4G, internet”, ha rivelato il procuratore). Medellin, hai detto Medellin?
Aggiornato il 08 settembre 2025 alle ore 11:40