
Ci sono immagini che non solo valgono più di mille parole, ma che urlano una verità scomoda, un’ipocrisia stridente che squarcia il velo delle convenienze diplomatiche. Una di queste è la recente apparizione di Massimo D’Alema alla parata militare cinese.
Non una semplice visita istituzionale, non un convegno accademico, ma la plateale presenza di un ex presidente del Consiglio italiano, di un ex ministro degli Esteri, di un uomo che per decenni ha incarnato una parte (o presunto tale) della sinistra italiana, sul palco d’onore di una parata che celebra la potenza militare di una dittatura. La domanda non è se fosse “opportuno”, ma piuttosto: che diavolo ci faceva lì?
IL FANTASMA DEL POTERE: RUOLI E CONTROSENSI
Massimo D’Alema non è un pensionato qualsiasi in gita turistica. Il suo curriculum è intriso di ruoli chiave nella Repubblica: segretario del Pds, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri. Queste cariche gli conferiscono, o dovrebbero conferirgli, un senso di responsabilità e una consapevolezza geopolitica che trascendono la vita politica attiva. Non si dismette la statura di statista come si dismette un abito usato.
Eppure, eccolo lì, il D’Alema “grande tessitore” della politica italiana, a fianco di gerarchi di un regime che calpesta i diritti umani, che minaccia Taiwan, che reprime Hong Kong e perseguita minoranze etniche. Che tipo di messaggio invia la sua presenza? E soprattutto: a nome di chi? Di quale Italia?
LO SCENARIO INTERNAZIONALE E LA CECITÀ VOLONTARIA
Il contesto in cui si è consumato questo spettacolo è tutt’altro che neutrale. Il mondo è un campo minato di tensioni. La guerra in Ucraina infuria, l’ombra di un conflitto in Medio Oriente si allunga, le democrazie occidentali sono sotto pressione costante, anche per via delle mire espansionistiche e autoritarie di potenze come la Cina. In questo scenario, l’Italia, membro della Nato e dell’Unione Europea, dovrebbe essere un baluardo di valori e principi.
La presenza di D’Alema a quella parata non è solo un errore di valutazione, è un vero e proprio schiaffo a questi valori, una strizzata d’occhio imbarazzante a chi, in questo momento, è l’antitesi di tutto ciò che l’Occidente dovrebbe rappresentare.
L’OPPORTUNITÀ MANCATA (O VOLUTAMENTE IGNORATA)
Si potrebbe obiettare: “rapporti diplomatici”, “dialogo”, “necessità di non isolare nessuno”. Sciocchezze. Ci sono luoghi e momenti per il dialogo, e ci sono limiti oltre i quali la presenza diventa complicità. Una parata militare è l’esaltazione della forza bruta, della supremazia, non un tavolo di trattative. L’opportunità, se mai ve ne fosse stata una, era quella di marcare una distanza, di ribadire l’impegno dell’Italia per la democrazia e il rispetto dei diritti.
Invece, D’Alema ha scelto di sedersi al banchetto, conferendo con la sua mera presenza una patina di rispettabilità a un regime che non la merita.
LE VERITÀ NON DETTE (E QUELLE CHE GRIDANO VENDETTA)
Dietro la posa compassata e il sorriso appena accennato, quali verità si nascondono? Che tipo di “affari” o “relazioni” giustificano una simile ostentazione di vicinanza?
È forse l’ennesimo capitolo di quella “politica estera parallela” che tanti danni ha causato all’Italia in passato? O è semplicemente la prova che certi personaggi, una volta scesi dal treno del potere ufficiale, continuano a cercare un palcoscenico, non importa a quale costo etico o politico?
La verità, non detta ma lampante, è che la presenza di Massimo D’Alema a quella parata è un atto gravissimo. Un atto che mina la credibilità dell’Italia, che confonde le acque in un momento delicatissimo e che, soprattutto, dimostra una sconcertante incapacità di leggere la storia e di schierarsi, senza ambiguità, dalla parte giusta.
Un vero e proprio autogol, l’ennesimo, di un uomo che sembra non aver mai compreso che il vero statista non è quello che siede a ogni tavolo, ma quello che sa scegliere con coraggio e dignità quali tavoli rifiutare.
Aggiornato il 05 settembre 2025 alle ore 13:12