Bibi vs Belgio

L’accordo vien di notte. Ed è un compromessoalla belga”. Perché di Belgio ce ne sono, e ce ne saranno sempre, due. Forse pure tre. E ce ne sono due anche per l’affaire israelo-palestinese. Due Belgio, due misure. Non sufficienti, però, anzi necessari, a evitare la sfuriata di Benjamin Netanyahu. “Il primo ministro Bart De Wever – reagisce Netanyahu – è un leader debole, che cerca di placare il terrorismo islamista sacrificando Israele. Spera di alimentare il coccodrillo terrorista prima che divori il Belgio. Israele continuerà a difendersi”. Al primo ministro israeliano non sfuggono certe stime secondo cui nel 2050 la popolazione musulmana in Belgio salirebbe dal 7,6 al 12 se non addirittura al 18 per cento, grazie ai flussi migratori e a tassi di natalità ormai insostenibili per gli europei.

Tutti futuri soldati di Allah, secondo Tel Aviv, che non ha proprio digerito la decisione di Bruxelles sulle sanzioni contro Israele e un, comunque condizionato, riconoscimento dello Stato palestinese. Il termine “debole” non è sembra essere stato scelto a caso. Nel pomeriggio di mercoledì, infatti, De Wever è stato impallinato dall’opposizione per non essersi presentato alla commissione Relazioni esterne della Camera, a spiegare e a giustificare i termini dellaccordo della coalizione Arizona, preferendo invece andarsene in Olanda, come annunciato dal presidente della commissione, Els Van Hoof. Per il partito socialista si è trattato di un “errore politico”, di un’assenzaincomprensibile e scandalosa” che “toglie credibilità” all’accordo. Per il Ptb, il partito dei lavoratori, “è una vergogna che nel giro di due mesi il primo ministro abbia mostrato una seconda volta il dito medio (doigt dhonneur, ndr.) a questa commissione (il 14 agosto De Wever aveva disertato una riunione dedicata proprio alla questione israelo-palestinese).

Per i Verdi sarebbe stato meglio che il premier si fosse presentato “per poter capire la reale posizione” del Paese. Anche perché, le versioni fornite, da una parte, dal ministro degli Esteri, Maxime Prévot, e, dall’altra, da Georges-Louis Bouchez, presidente di Mr, il partito liberale francofono, non coincidono. Ecco perché alcuni commentatori politici, il giorno dopo, parlano di “due visioni belghe dell’ordine mondiale”. Se è innegabile che Bruxelles stia inasprendo la sua posizione nei confronti di Israele con ulteriori sanzioni, si fa notare, manca però la “svolta” sull’altro fronte. Il passo più simbolico, e cioè il riconoscimento immediato e incondizionato della Palestina, si osserva, non è stato fatto, non fosse altro perché, ça va sans dire, avrebbe legittimato vita, morte e miracoli di Hamas. Da più parti si parla di “compromesso deludente”, troppo duro per alcuni, troppo morbido per altri. Nello specifico, le due visioni belghe dell’ordine mondiale sono quelle di Théo Francken (ministro della Difesa) e Georges-Louis Bouchez, che vedono il conflitto da una prospettiva di civiltà o di identità, come una lotta tra l’Occidente e l’islamismo; e poi quella incarnata dal ministro Prévot e Conner Rousseau, presidente di Vooruit, il partito socialdemocratico fiammingo, che leggono il conflitto alla luce dei principi del diritto internazionale, in cui l’equilibrio di potere deve essere subordinato a questioni di giustizia, in particolare in questo caso, al diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Il compromesso nasce da queste due visioni. Punto. Esso ruota attorno alla Dichiarazione di New York, promossa da Francia e Arabia Saudita, per una soluzione a due Stati. Il Belgio la firmerà e coglierà l’occasione per impegnarsi per il riconoscimento della Palestina, che è quello che vuole la sinistra. Ma questo impegno sarà formalizzato in un decreto reale solo a determinate condizioni, come voleva la destra: il rilascio di tutti gli ostaggi e la rimozione dal potere di organizzazioni terroristiche come Hamas. Nell’accordo ci sono misure che compensano le condizioni imposte al riconoscimento. Il Belgio agirà, senza attendere un possibile accordo europeo, per imporre sanzioni contro i coloni ebrei violenti e i leader di Hamas, e dichiara i ministri estremisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich persone “non grate”, così come i leader politici e militari di Hamas.

Il compromesso è servito a evitare la crisi di governo a Rue de la Loi? Probabile. Come è probabile che il piccolo Belgio si ritrova in balia degli eventi, si fa notare. Il primo fra tutti: il riconoscimento dello Stato di Palestina quando la Palestina sarà già stata spazzata via. Il Governo, da par suo, gonfia il petto e denuncia l’immobilismo Ue. In assenza di una sintesi a livello europeo, “imporremo le nostre proprie sanzioni”, tuona il ministro Prévot, “misure nazionali che costituiscono uno degli arsenali più completi dei Paesi europei oggi”. Il riconoscimento dello Stato palestinese, dice, “era necessario oggi, poiché da decenni il Belgio è favorevole alla soluzione dei due Stati”. Per “rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli”, aggiunge, “il Belgio annuncerà il riconoscimento dello Stato di Palestina a margine della settimana di alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni unite”. Ma, precisa, “in nessun caso il rispetto della legge deve essere interpretato come una ricompensa per Hamas”.

Ecco perché Bruxelles “formalizzerà questo riconoscimento legale solo con decreto reale, una volta liberato l’ultimo ostaggio e allontanate le organizzazioni terroristiche come Hamas dal governo della Palestina”. Un riconoscimento a “doppia fase”, dunque, che “non dovrebbe essere banalizzato – fa notare Prévot – perché, anche se non avrà effetti giuridici in quel momento, i suoi effetti diplomatici sono significativi”. Il riconoscimento formale e legale arriverà “in seguito”, quando entrambe le condizioni saranno soddisfatte.

Aggiornato il 04 settembre 2025 alle ore 11:24