
Recita un vecchio sfottò: “Anche le pulci hanno la tosse”, in questo mondo capovolto. Così un nano economico, ma temutissima pulce nuclearizzata, come la Corea del Nord, può nutrire l’illusione di sentirsi tra i grandi del mondo, vantando meriti indiscutibili nei confronti della Russia, per aver dato la massima solidarietà e l’appoggio incondizionato alla guerra di aggressione di Vladimir Putin in Ucraina. A giugno scorso, il Segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Sergei Shoigu, ha annunciato che la Corea del Nord avrebbe messo a disposizione di Mosca un ulteriore contingente di 6mila uomini e distaccato 5mila operai edili per la ricostruzione del Kursk. Fatica premiata: per la vittoria della Cina sul Giappone (in una guerra durata dal 1931 al settembre 1945), Kim Jong-un sarà accanto a Xi Jinping e Vladimir Putin alla parata del 3 settembre a Pechino. E una volpe come il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sfilando sul tappeto rosso steso apposta per lui dal dittatore Kim Jong-un durante la sua recente visita in Corea del Nord, ha fatto finta che così fosse, per spillargli quanti più aiuti militari possibili (munizioni di artiglieria, missili e soldati), sorvolando sul fatto che la maggior parte della popolazione nordcoreana si trova al di sotto della soglia di povertà. E questo palese disinteresse, a quanto pare, è destinato a costituire le fondamenta del Nuovo ordine mondiale post-occidentale, a guida sinorussa.
Ovvero, in base alla filosofia dei nuovi protagonisti del mondo, Russia, Cina, India, Iran e i loro alleati nei Brics+, ognuno a casa sua è padrone di fare ciò che vuole, ridicolizzando così le aspettative di Francis Fukuyama e dei suoi seguaci, che si erano illusi della vittoria (politica) definitiva del modello occidentale e dello Stato di diritto su tutti gli altri sistemi di governo. Ma, per Kim, la collaborazione con Mosca è tutto fuorché un giardino fiorito dato che, rispetto alla precedente avventura della vittoriosa liberazione del Kursk occupato dall’Ucraina, le sue truppe potrebbero essere impiegate anche oltre i confini russi, con serie ripercussioni sui rapporti internazionali, già molto tesi, con l’Occidente e i suoi alleati asiatici. Anche se, in merito, per evitare complicazioni e imbarazzi al leader nordcoreano, Lavrov ha opportunamente dichiarato che sarà la Corea del Nord a stabilire le modalità di impiego dei propri soldati in zona di guerra. Sotto il profilo della cooperazione militare vera e propria, stando a quanto riportato dall’intelligence sudcoreana, fin dall’ottobre scorso Pyongyang avrebbe messo a disposizione di Vladimir Putin all’incirca due divisioni (16 mila soldati) di fanteria, e fornito ai russi dall’inizio della guerra 12 milioni di proiettili di artiglieria. E qui si capisce come l’Occidente sia in gravissimo ritardo nella produzione di armamenti destinati all’Ucraina, non essendo in grado ancora per un paio di anni di tenere testa all’economia di guerra russa, sperando che l’attuale conflitto finisca prima di allora.
Nella sua evidente proiezione internazionale fuori misura, Kim ha dichiarato alla fine dell’incontro con Lavrov che i due Paesi “hanno discusso su come difendere i comuni interessi vitali (in funzione anti-occidentale, ndr), sviluppando una partnership strategica onnicomprensiva”. E questo perché, secondo Kim, “la Corea del Nord è pronta a sostenere incondizionatamente e a incoraggiare tutte le misure adottate dalla leadership russa, per affrontare alla radice le cause della crisi ucraina, nel rispetto dei trattati tra i nostri due Stati”. Parallelamente alla cooperazione militare, Mosca ha aperto le sue porte ai prodotti commerciali nordcoreani, che vengono venduti nei supermercati, e promosso progetti congiunti per la costruzione di grandi infrastrutture, come un ponte che, nel prossimo futuro, dovrebbe collegare i due Paesi, via Vladivostok. Sul versante europeo, a questo iperattivismo di Pyongyang si contrappone l’iniziativa della Germania, il cui ministro della Difesa Boris Pistorius ha ordinato alle proprie industrie degli armamenti di “smetterla di lamentarsi” e di dare il contributo atteso alla strategia di “Rearm-Europe Plan” (che però, nella pudicizia woke è stata ribattezzato con Readiness 2023). In cambio, il Governo si è impegnato nei prossimi anni a investire centinaia di miliardi nell’industria bellica tedesca, nel tentativo di porre un argine preventivo all’aggressività della Russia, in vista di un progressivo, irreversibile disimpegno degli Usa in seno alla Nato.
In merito, Berlino si propone di investire nella difesa 162 miliardi di euro entro il 2029, pari a un incremento del 70 per cento del bilancio attuale per le spese militari. Ma, come dimostra il ritardo nei rifornimenti vitali all’Ucraina, serve un salto rapido di qualità nei settori del munizionamento, dei droni e dei mezzi corazzati, anche se questi ultimi sono oggi di sempre più scarsa efficacia nella nuova guerra tecnologica. Berlino (come Roma, del resto) è sempre più dell’avviso che occorre procedere a discutere con gli Usa una road map, in vista del progressivo disimpegno di Washington, per non lasciare vuoti nell’Alleanza che potrebbero fornire l’invito a Putin ad allargare le sue pretese in Europa. Nel frattempo, nelle more di una decisione americana sui sistemi antimissile a protezione delle città ucraine, la Germania ha sacrificato ben tre dei suoi dodici sistemi Patriot, trasferendoli a Kiev per la difesa antiaerea, mentre altri due sono andati alla Polonia, per un totale di soli sei rimasti a difesa del territorio tedesco, dato che un settimo è in manutenzione. Chiaramente, ciò che è rimasto in Germania si rivela del tutto insufficiente, considerando gli obiettivi che la Nato si è prefissata per i prossimi anni. Tecnicamente, ciascun sistema Patriot è composto da: un lanciatore multiplo; missili intercettori; una postazione radar e un plotone specializzato di comando e controllo. Da qui derivano i costi elevati di produzione e di manutenzione di un singolo blocco.
Malgrado sia chiaro che, a norma del diritto internazionale, per resistere l’Ucraina ha bisogno di sistemi offensivi in grado di colpire in profondità obiettivi militari, logistici e industriali (come le raffinerie di petrolio) in territorio russo, la Germania si rifiuta di fornire a Kiev i suoi missili a lungo raggio Taurus, nel timore di un’ulteriore escalation del conflitto. D’altro canto, Pistorius intende finanziare entro il 2030 un piano di riarmo per la fornitura alla Bundeswehr di mezzi corazzati, aerei da combattimento, sottomarini e droni, in modo che l’esercito tedesco risulti in futuro il meglio armato d’Europa. A garanzia di tali forniture, imitando Putin, Berlino sottoscriverà con le sue industrie degli armamenti contratti a lungo termine con “obbligo di acquisti annuali”, per far fronte alle obiezioni degli industriali tedeschi sull’impossibilità di procedere a produzioni ad alto investimento, senza una garanzia per la copertura dei relativi costi, garantita da acquisti sicuri da parte del committente pubblico. Sebbene negli ultimi tempi l’industria degli armamenti europea abbia fatto significativi passi avanti nella produzione di proiettili di artiglieria, altrettanto non si può dire per i mezzi corazzati, ancora oggi ben al di sotto della capacità produttiva dell’industria pesante russa. Ma, per moltissimi europei continua a contare molto di più il burro dei cannoni, soprattutto nelle questioni di arruolamento comunitario che, per ora, nessuno si azzarda a progettare e proporre. Putin, quindi, può dormire sonni tranquilli pilotando sull’Ucraina, come il comandante pazzo del Dr. Stranamore, le sue bombe teleguidate da mezza tonnellata.
Aggiornato il 01 settembre 2025 alle ore 10:21