
Affinché una soluzione a due Stati funzioni, l’influenza iraniana a Gaza e in Cisgiordania deve finire
Nel 2006, l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger scriveva che i leader iraniani avrebbero dovuto decidere se rappresentare “una causa o una nazione”. Ad oggi, la situazione è inalterata e il futuro dello Stato palestinese dipende dal fatto se la Repubblica islamica rinunci o meno a un obiettivo della sua politica estera.
Il presidente francese Emmanuel Macron ritiene di poter superare il suo indice di gradimento del 19 per cento facendo appello al crescente elettorato islamista francese nella pressione da lui esercitata per il riconoscimento dello Stato palestinese. In realtà, questa mossa non solo rappresenterebbe una ricompensa per Hamas dopo gli atroci crimini commessi dall’organizzazione appena due anni fa, ma eroderebbe anche il deterrente contro il regime iraniano stabilito attraverso le azioni militari israeliane e statunitensi, all’inizio di questa estate.
Per Teheran, esportare la rivoluzione è una delle sue missioni fondanti, e la creazione di uno Stato palestinese attraverso la “resistenza” al “piccolo Satana” (Israele) condotta dai suoi proxies a Gaza e in Cisgiordania è stata, negli ultimi decenni, uno dei punti chiave di tali missioni.
Inoltre, Gaza, durante i quasi vent’anni di governo di Hamas, senza alcuna presenza israeliana in seno al territorio, è quanto di più vicino a uno Stato i palestinesi abbiano mai avuto sotto una qualche forma di governo palestinese. Tragicamente per Israele, Hamas è stata a un certo punto considerata da Israele e dagli Stati Uniti una forza di governo con un potenziale di moderazione e con cui era possibile negoziare. Molti degli israeliani che vivevano nei kibbutz vicino a Gaza, credendo in una visione di coesistenza di due Stati, fianco a fianco con i loro vicini palestinesi, sono stati le prime vittime di questo mito.
È a causa dell’attacco di Hamas del 7 ottobre che “nessun israeliano sano di mente” sta attualmente pensando di riavviare il processo di pace, come ha osservato lo scorso anno il presidente israeliano Isaac Herzog. La lezione da trarre è che, un futuro Stato palestinese sarà solo un altro proxy del regime iraniano, se la creazione di un tale Stato non viene svincolata dall’influenza di Teheran.
È stato ampiamente documentato che l’Iran ha finanziato, addestrato e rifornito Hamas nel periodo antecedente al 7 ottobre. Hamas è solo uno dei numerosi sforzi in cui Teheran ha investito risorse come parte della sua visione di un nuovo impero persiano di distruzione in Medio Oriente e oltre. Voci secondo cui l’Iran starebbe promuovendo accampamenti e manifestazioni anti-israeliane e antisemite nei campus universitari statunitensi sono solo l’ultimo esempio di questa estesa influenza.
La “resistenza” palestinese in nome della distruzione di Israele è stata, di fatto, un obiettivo del regime iraniano perseguito nel corso di quattro decenni. È significativo che, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, l’ex ambasciata israeliana a Teheran sia diventata la sede della sezione iraniana dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp).
Diversi anni dopo, Hezbollah, il principale e più capace proxy dell’Iran, è emerso con il compito di “condannare con forza tutti i piani di negoziato con Israele e considerare tutti i negoziatori come nemici, poiché tali negoziati non sono altro che il riconoscimento della legittimità dell’occupazione sionista della Palestina”. I suoi sforzi si concretizzeranno solo “quando questa entità [Israele] sarà annientata. Non riconosciamo nessun trattato con essa, nessun cessate il fuoco e nessun accordo di pace, né separato né consolidato”. L’impegno a distruggere Israele contenuto nello Statuto di Hamas è stato ampiamente discusso negli ultimi mesi, e l’incisivo slogan degli Houthi con base nello Yemen, “Dio è Grande; morte all’America; morte a Israele; maledizione sugli ebrei; vittoria all’Islam”, dice tutto.
Come ha rilevato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel discorso da lui tenuto al Congresso statunitense a luglio dello scorso anno, qualsiasi discussione sul “giorno dopo” a Gaza, ossia sul post-guerra, deve includere la smilitarizzazione e la deradicalizzazione. In effetti, i dati dei sondaggi pubblicati nel maggio scorso rivelano che più di un terzo dei gazawi sostiene ancora l’attacco del 7 ottobre, una percentuale che è scesa solo di un punto percentuale negli ultimi mesi.
Lo stesso dicasi per la Cisgiordania, dove il sostegno a Hamas (29 per cento) e agli attacchi del 7 ottobre rimane elevato. Secondo quanto riportato, l’Iran avrebbe fornito armi leggere e munizioni alla Cisgiordania, con il possibile intento di organizzare un altro 7 ottobre. Di conseguenza, qualsiasi piano per la creazione di uno Stato palestinese che non preveda l’impegno a porre fine all’influenza e al sostegno iraniani non farà altro che rafforzare le minacce a Israele.
La creazione di uno Stato palestinese è possibile, ma deve avvenire alle giuste condizioni, la prima delle quali è la fine dell’escalation iraniana contro Israele e gli Stati Uniti. Il percorso verso la realizzazione di uno Stato palestinese, che possa fungere da nazione responsabile nei confronti del proprio popolo e dei propri vicini, inizia a Teheran. Deve essere parte di un approccio regionale volto a ridurre l’influenza iraniana che dura da decenni.
È nell’interesse degli Stati Uniti e dei nostri amici in tutto il mondo imporre il proprio processo decisionale, in modo da garantire la nostra sicurezza e quella dei nostri amici nella regione. E in tali responsabilità rientra l’obiettivo di smantellare il progetto iraniano di un proxy palestinese.
(*) Tratto dal The National Interest
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 28 agosto 2025 alle ore 16:15