Pax putiniana: “land for peace”

È sensato, o no, parlare di “TrumPutinismo”? In questo caso, la crasi non è soltanto inopportuna, ma si rivela addirittura fuorviante, come uno specchio deformante, in cui il più alto dei due diventa mingherlino e, invece, quello più basso subisce una trasformazione magnificante, tipo rana di Fedro. Anche perché il secondo è un autocrate, che decide da solo e incarcera o assassina tutti quelli che non sono d’accordo con lui. Il primo, invece, è un presidente, sia pure un po’ strambo, di quella che rimane la più solida delle democrazie mondiali. Si spera che siano ancora in molti a notare la differenza. Nell’infopandemia mondiale, dove un po’ tutti parlano senza sapere, si continua a ignorare ciò che è veramente avvenuto nel colloquio riservato tra Donald Trump e Vladimir Putin, durante il loro incontro nella remota terra ibrida dell’Alaska, molto russa e pochissimo americana. Si può supporre (visto che l’inglese era la lingua di lavoro, insegnata a tutti i livelli nelle scuole di formazione dei servizi segreti sovietici) che Putin abbia avuto un colloquio diretto e senza testimoni con il suo omologo americano, nella decina di minuti del percorso dell’auto presidenziale verso la sede dell’incontro. Ciò detto: che cosa ne ha ricavato Trump dopo aver scongelato Putin dal suo letargo internazionale, facendogli l’immenso regalo della rilegittimazione a pieno titolo e grado come partner degli Usa? Beh, come una volta si acquistavano le indulgenze per il perdono dei peccati (potendo così ricominciare da zero a peccare), o ancora meglio i titoli nobiliari fasulli in cambio di moneta sonante, quel che è certo riguarda la vittoria del mercante-Trump, a discapito del politico-Trump che, forse, nei confronti del suo “amico” Putin avrebbe fatto meglio a mantenere un minimo sindacale di faccia feroce.

Perché, al termine del vertice di Anchorage, dove si è potuto assistere alla triste commedia di una omertosa ma congiunta conferenza stampa (per modo di dire, visto che non è stato consentito ai giornalisti di fare domande), ciò che è risultato chiarissimo resta il Moloch Putin dinnanzi al birillo Trump, che oscilla in tutte le direzioni ma non cade, grazie al peso di piombo collocato al suo interno. Allora, qual è la sostanza? In pratica questa: “Pace, in cambio di territori” (land for peace). Cosa che Putin (non) dixit ma ha fatto capire benissimo. E qui, bisogna correggere con urgenza i clamorosi errori linguistici di mezzo mondo, in cui si dice, parlando di pace in Ucraina, che questa dovrebbe avvenire attraverso lo “scambio di territori”. Ma quali: quelli che sono per ora, in base al diritto internazionale, tutti ucraini? Evidentemente, c’è molto di più dietro questo inquietante svarione linguistico, perché altrimenti, se fosse vero, il piatto della bilancia sarebbe caricato solo da un lato e vuoto dall’altro, fatto per cui solo un disagiato mentale potrebbe parlare di “equivalenza”. Aprendo una parentesi, l’altro proditorio svarione linguistico, di pura matrice woke euroamericana, è di tradurre con “deportazione” il termine giuridico (e quindi del tutto legale) anglosassone di “deportation”, ovvero di espulsione degli immigrati in situazione irregolare, contemplato in tutte le giurisdizioni democratico-costituzionali.

Ora, quale potrebbe essere davvero la mossa vincente contro Mosca da parte dell’Europa, al netto dei chiarimenti dati da Trump a Volodymyr Zelensky e ai “volenterosi” allargati, essendo definitivamente tramontata l’ipotesi di un cessate-il-fuoco? Una via d’uscita, volendola vedere, c’è e ha solide basi per poter funzionare e avere successo, in base all’intuizione di Giorgia Meloni. In premessa: che cosa può fare e come deve reagire un’Europa, che non conta nulla perché “non ha le carte”, volendo sedersi a pari merito con le attuali tre superpotenze di Usa, Cina e Russia per trattare gli affari globali, in materia di sicurezza, economia e controllo dello spazio? Per molti, la soluzione sta nel difendere l’ultima trincea giapponese del multilateralismo e del dirittismo, rappresentata da Bruxelles e dalle ex potenze coloniali europee, non ammettendo e sanzionando il mancato rispetto del diritto internazionale da parte di chiunque. Una posizione quest’ultima di sicuro velleitaria, in un mondo orientato verso una forte polarizzazione che gravita attorno a tre poli fortissimi, distintisi per il ritorno tacito e consensuale del predominio della forza (come l’imposizione di dazi), con l’abbandono degli strumenti e delle sedi multilaterali e, quindi, dello stesso diritto internazionale.

Per farla breve: sarebbe sufficiente per scoraggiare definitivamente la Russia che i volenterosi di Inghilterra, Francia (queste ultime due potenze nucleari), Germania e altri volenterosi sottoscrivessero un trattato multilaterale di mutua assistenza con Kiev, dove si dice che se solo uno dei Paesi firmatari subisse l’aggressione da parte di uno Stato terzo, tutti gli altri membri interverrebbero in suo soccorso, militarmente, economicamente e politicamente. Evitando, però, di insistere sulla presenza di truppe di interposizione di Paesi Nato ai confini russo-ucraini, foriera di una Ww3 (Terza Guerra mondiale) per reiterati incidenti e provocazioni sulla linea del cessate il fuoco. L’escamotage del trattato a cinque terrebbe fuori contemporaneamente l’America, la Nato e l’Unione europea, ma rappresenterebbe un fortissimo deterrente nei confronti della Russia. Infatti, se Putin attaccasse nuovamente l’Ucraina, a sua difesa interverrebbero ben due potenze nucleari europee più la temutissima Germania, mentre l’America potrebbe prendersela comoda, come fece in Ww2, attendendo la nuova Pearl Harbour qualora la Russia mettesse a rischio i suoi interessi nello sfruttamento delle terre rare ucraine.

Ci sarebbe da chiedersi, volendo fare un po’ di folklore, il “perché” la Spagna non debba nemmeno essere presa in considerazione come aderente al suddetto trattato multilaterale, tra una parte (forte) dell’Europa e Kiev. Qui, vale forse la pena di fare una digressione e sanzionare l’atteggiamento di Pedro Sánchez che, da “rosso”, sta copiando il suo predecessore di sempre, il più “nero” di tutti, Francisco Franco. Proprio il Caudillo che si sfilò astutamente dalla guerra nazista, con la scusa che doveva ricostruire un Paese appena uscito dalla guerra civile (vinta grazie all’intervento determinante dei nazifascisti), senza mai aver adottato nessuna legge contro la razza (ebraica). Del resto, dal suo punto di vista, Adolf Hitler non aveva alcun interesse a invadere un fedele alleato neutrale, molto più sicuro e meno infido del Governo fantoccio francese di Vichy. Ok, Pedro: ma non venirci a rivendicare la tua correttezza ultra-woke, per cortesia, in materia di difesa comune!

Aggiornato il 25 agosto 2025 alle ore 09:56