L’orsolina Ursula: i conti si pagano

Ma, Ursula von der Leyen è, per caso, andata a scuola dalle suore orsoline, per essere così ingenua e fiduciosa del mondo? Perché, delle due l’una: o ha avuto mandato dai “Ventisette” di concedere a priori tutto il concedibile a Donald Trump, oppure ha agito in pressoché totale autonomia. Parrebbe prevalere quest’ultima ipotesi, a seguito delle reazioni stizzite e di disaccordo sostanziale di numerosi Paesi membri, con i loro leader che parlano della resa incondizionata dell’Europa per aver messo trilioni di euro nelle mani di Trump, rinunciando a utilizzare il suo bazooka regolamentare e daziario, come invece ha fatto la Cina con le terre rare. C’è poi un aspetto “formale” non secondario di questa umiliazione dato che, per le più importanti cancellerie europee, non è stato dignitoso fare accordi per trilioni di euro nella casa di campagna irlandese del presidente americano, considerato un luogo istituzionale inidoneo per trovare un accordo equilibrato sui dazi. Ora, sarà appena il caso di vedere che cosa accadrà da lì in poi, anche perché i dazi non sono cosa neutra né per chi li impone, né per coloro che ne subiscono le conseguenze. Anche perché, in un mondo dalle filiere interconnesse e interdipendenti l’effetto-carambola ha code del tutto impreviste, sia di tipo endogeno che esogeno. Vediamo di chiarire tutti questi aspetti. Prima, però, sarà bene di non sentirci troppo vittime di quanto accaduto, dato che noi europei, grazie alla guida iper-burocratica di Bruxelles, ci siamo fatti trovare storicamente in ritardo su tutto, combinando guai a ripetizione che non sono attribuibili ad altri se non a noi stessi.

Il primo di questi effetti distopici è stato di illuderci di aver idealmente imputato sine die all’alleato americano i costi della nostra difesa, non rinunciando a credere che, finita la Guerra fredda, gli Stati Uniti avrebbero continuato a sostenere tutti gli oneri per il mantenimento della superiorità strategica ed economica dell’Occidente, fondata sull’ordine mondiale post-1945 della Pax americana. Un mondo di ieri che oggi, nel Nuovo ordine mondiale (che, però, come l’Araba fenice, nessuno sa bene che cosa sia), non esiste più, visto che la Cina ha fatto tutte le scelte giuste per arrivare prima nella crescita economica mondiale, mentre l’Europa ha perso parimenti tutti i treni storici delle tecnologie avanzate, inseguendo il mito della regolamentazione senza progresso. Come più volte denunciato da Mario Draghi nei suoi colti e informati rapporti sullo Stato dell’Unione, il declino (a questo punto irreversibile!) europeo è dovuto a una convergenza micidiale di fattori avversi, come l’enorme ritardo tecnologico e un incredibile sistema auto-penalizzante di dazi interni (ai quali nessuno nell’Ue vuole mettere mano!), che crea forti distorsioni nell’ambito del nostro mercato unico. Da sempre, del resto, Bruxelles va tagliando le gambe con regolamenti anti-concentrazionari alla formazione di “Campioni europei”, in grado di competere con i giganti high-tech cinesi e americani in materia di Ai, semiconduttori avanzati e sfruttamento delle sempre più preziose terre rare, indispensabili nei settori ad alto valore aggiunto di know-how e della R&D (Ricerca e Sviluppo) in materia di difesa e di industria digitale.

Ora, però, come denunciato dal professor Giuliano Noci sul Sole 24 ore, c’è un vero e proprio monstrum, destinato a divorare dalle fondamenta il futuro dell’Europa, rappresentato dalla sua “sottomissione digitale” (che fa il verso al più famoso romanzo futurista di Michel Houellebecq), che ne ha fatto uno schiavo digitale, le cui catene invisibili sono gestite a distanza dal conglomerato imperial-coloniale dei giganti della Silicon Valley. E, malgrado che l’Ue acquisti ogni anno parecchie centinaia di miliardi di dollari di servizi digitali dall’America, questo rilevante deficit non è entrato a far parte della trattativa sui dazi tra Ursula e The Donald, a compensazione del surplus commerciale europeo con gli Usa. Il che la dice lunga sul nostro stato (autoindotto) di parìa digitale. Il timore di usare il bazooka regolamentare europeo è chiarissimo, dato che se da Oltre Atlantico ci chiudessero il Cloud, si paralizzerebbero i servizi pubblici e la maggior parte delle attività finanziarie, economiche e industriali delle nostre imprese. Quindi, abbiamo schivato il black-out energetico pagando, se diamo retta a Ursula, un dazio aggiuntivo all’America, essendoci impegnati ad acquistare da Trump gas liquido per parecchie centinaia di miliardi, cadendo per di più nella Fossa delle Marianne dello choc neurologico della dipendenza digitale.

Ci sta bene: la Cina confuciana, da molti millenni più avveduta di noi, si è mossa da almeno tre decenni per conseguire la tua totale indipendenza digitale, creando i suoi campioni nazionali dell’e-commerce e una Internet tutta cinese con 1,5 miliardi di utenti, che sta per vincere la sfida dell’Ai con la sua rivale planetaria americana. E non è escluso che, se continuasse per un altro decennio la lite Europa-Usa, saremo costretti a consegnarci mani e piedi allo strapotere digitale di Pechino. Così, anche (o soprattutto) grazie a noi, oggi Microsoft può festeggiare in Borsa quattro trilioni di dollari di capitalizzazione, a seguito della crescita esponenziale del business del Cloud, di cui ci siamo resi schiavi. Anche se il nostro Continente paga ogni anno qualcosa come 250 miliardi di euro per improntare le autostrade digitali di Amazon-Google-Microsoft, siamo riusciti a non far contare nulla questo nostro enorme deficit commerciale con gli Usa. Quindi, se la padella russa funzionava con il gas siberiano per riscaldare le case europee, la brace americana dell’impero digitale (la cui immensa risorsa primaria sono i nostri dati personali!) ci cuoce vivi economicamente, senza che nemmeno ce ne accorgiamo! Come osserva Noci, siamo alla “techflazione”, o colonialismo algoritmico con i prezzi che raddoppiano di anno in anno, e noi lì a subire passivi per l’impossibilità (anche per ragioni geopolitiche) di cambiare fornitore. Dato che, per come stanno messe le cose, “uscire da questo sistema è come tentare di disinstallare l’aria” che respiriamo.

Come reagisce, invece, l’Europa? Partorisce regole, ecco che fa tutto il tempo, invece di investire attraverso risorse comuni migliaia di miliardi in server, chip, cavi e data center, per far decollare come un dirigibile un Algoworld e un Cloud tutto europeo, con tanto di autostrade digitali. Nella bozza Ue di bilancio 2028-2034 si stanziano appena 50 miliardi per l’innovazione, pari appena a una piccola frazione di quanto investe ogni anno Microsoft per la ricerca e sviluppo della sua Ai, poiché ormai le vere industrie con prodotti ad altissimo valore aggiunto sono le fabbriche degli algoritmi, che girano su piattaforme a stelle e strisce. Quando, si interroga Noci, Bruxelles si accorgerà finalmente che serve un “New Deal digitale europeo” con debito comune e visione strategica? Giriamo la domanda a Ursula, e vediamo come se la cava.

Aggiornato il 08 agosto 2025 alle ore 11:00