La decisione di Bibi: occupare Gaza e sconfiggere Hamas

Alle 20 in punto di ieri sera, l’ora del telegiornale più seguito del Paese, un annuncio ha squarciato la monotonia della solita rassegna di notizie in Israele. Una “fonte importante” dell’ufficio di Benjamin Netanyahu ha rivelato in diretta che “la decisione è stata presa. Occuperemo la Striscia di Gaza. Hamas non rilascerà altri ostaggi senza una resa totale, e noi non ci arrenderemo. Se non agiamo ora, i rapiti moriranno di fame, la Striscia resterà sotto il controllo dei terroristi. Ci saranno operazioni anche nelle aree dove si trovano ostaggi”. Una fuga di notizie –che non è stata ancora formalmente confermata – ma che appare orchestrata ai più alti livelli dell’establishment, come hanno sottolineano alcuni osservatori. Secondo l’agenzia Ynet, il primo ministro avrebbe ottenuto l’assenso del presidente americano Donald Trump per lanciare “un’operazione contro Hamas” (diverso dal dire occupazione). Una svolta maturata dopo la visita a Gerusalemme, nel fine settimana, dell’inviato speciale Steve Witkoff. “Washington e Gerusalemme hanno convenuto che l’organizzazione terroristica non vuole un accordo”, si legge inoltre sul sito web.

La dichiarazione, filtrata dagli ambienti vicini al premier, arriva anche come risposta alle recenti riserve espresse dal capo di Stato maggiore Eyal Zamir. Il generale, in un briefing riservato al gabinetto, ha parlato della complessità di un’eventuale conquista dell’enclave: “Ci vorrebbero anni”, aveva ammesso. La replica, tagliente, è stata affidata alla medesima fonte del leak: “Se al capo di Stato maggiore non va bene, che si dimetta”. Ma per molti analisti, più che una linea già tracciata, quella annunciata potrebbe configurarsi come una mossa tattica: un rilancio negoziale volto a esercitare la massima pressione possibile su Hamas. “Non ha più nulla da perdere”, è la valutazione di diversi esperti citati dai media israeliani.

Nel frattempo Netanyahu, che nelle ultime ore ha avuto un secondo colloquio telefonico in pochi giorni con Vladimir Putin, sarebbe pronto a presentare una proposta formale al gabinetto di sicurezza, autorizzando le Forze di difesa israeliane (Idf) a lanciare un’operazione su vasta scala: obiettivo, conquistare Gaza, annientare Hamas e liberare gli ostaggi. Il lungo stallo nei colloqui, protrattosi per settimane, e le più recenti dichiarazioni del gruppo islamista sembrano aver spinto Tel Aviv a concludere che non vi siano più margini di trattativa. Per Israele, come per la Casa Bianca, l’opzione militare resterebbe ormai l’unica sul tavolo. Tuttavia, le divergenze tra leadership politica e comando militare continuano a rappresentare un ostacolo strategico. Mentre i ministri della destra conservatrice e tradizionalista – spinti anche da un afflato religioso – invocano il reinsediamento a Gaza ricordando l’epoca in cui l’enclave ospitava importanti scuole talmudiche, le forze armate ribadiscono la realtà del campo di battaglia: un conflitto asimmetrico, segnato da guerriglia urbana, esplosivi nascosti e un nemico determinato e – lo sappiamo bene – senza scrupoli. I comandanti sottolineano la stanchezza dei reparti, impegnati da quasi due anni su più fronti, incluso il Libano, con rotazioni fino a dodici turni consecutivi. E la vittoria, spiegano, non è a portata di mano. Il nemico, questa volta, combatte “o per il potere o per il martirio”, una motivazione che – cosi avrebbero ammesso alcuni ufficiali – potrebbe superare a volte quella dei soldati israeliani.

In parallelo, il Governo ebraico ha assicurato agli Stati Uniti il via libera all’ingresso di aiuti umanitari in misura crescente, destinati ai civili palestinesi. Un compito delicato: coniugare convogli di generi alimentari e operazioni militari richiederà un equilibrio finora rimasto inedito. E il clima politico interno si fa sempre più teso. Le immagini dei giovani ostaggi israeliani Evyatar David e Rom Breslavski, visibilmente denutriti – “con metà del loro peso corporeo rispetto al momento del rapimento”, secondo gli esperti – hanno scosso il Paese. La Croce rossa internazionale ha lanciato un appello: “Siamo sconvolti dai filmati, gli ostaggi sono in condizioni degradanti. Chiediamo il loro rilascio immediato e incondizionato, evitate tutte le forme di esposizione che li umiliano”. Il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus ha aggiunto: “Gli ostaggi devono avere accesso a cibo e cure mediche”.

Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar è volato ieri a New York per partecipare alla sessione speciale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, prevista oggi, convocata proprio sulla questione dei rapiti. Intanto, sul fronte politico interno, l’esecutivo ha approvato all’unanimità la rimozione della procuratrice generale Gali Baharav-Miara, dopo mesi di tensioni con Bibi, anche in relazione all’indagine sulle presunte tangenti provenienti dal Qatar che coinvolgerebbero membri dell’entourage del premier. Tuttavia, la Corte suprema ha immediatamente congelato la decisione, accogliendo i ricorsi presentati dal partito Yesh Atid e da alcune Ong. Mentre decine di ex alti ufficiali del Mossad, dello Shin Bet e delle Forze di difesa – figure di primo piano nella storia della sicurezza israeliana – hanno chiesto la fine del conflitto attraverso un video diffuso ieri. La Bbc, infine, ha rilanciato una lettera firmata da 600 ex funzionari della difesa israeliana indirizzata a Donald Trump, chiedendogli di sostenere “la fine della guerra”. Negli Stati Uniti, il commander-in-chief ha annunciato una stretta finanziaria per le città e gli Stati che boicottano Israele: secondo quanto riportato da Reuters, citando la Federal emergency management agency, saranno negati loro i fondi federali destinati alle catastrofi naturali.

Aggiornato il 05 agosto 2025 alle ore 10:14