
Il Balkan Investigative Reporting Network (Birn) e l’emittente moldava Cu Sens hanno pubblicato un rapporto investigativo che conferma le affermazioni della Moldova secondo cui la Russia avrebbe istituito campi paramilitari segreti in Serbia e nella Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina nei mesi precedenti le elezioni presidenziali moldave dell’ottobre 2024. Pochi giorni prima delle elezioni, le autorità moldave hanno dichiarato di aver sventato un piano volto a destabilizzare il Paese, eseguendo decine di perquisizioni e identificando oltre 100 persone coinvolte. In una conferenza stampa, il Servizio di sicurezza e intelligence della Moldova ha riferito che l’oligarca filorusso in esilio Ilan Shor avrebbe finanziato l’operazione, inviando cittadini moldavi a Mosca per ricevere un addestramento preliminare nell’organizzazione di proteste. Da questo gruppo, una selezione di agenti sarebbe stata successivamente inviata nei Balcani per ricevere un addestramento avanzato. In questi campi, istruttori russi legati alla compagnia militare privata Wagner formavano i partecipanti all’uso dei droni e al combattimento, includendo anche attività di “sport e psicologia”. Poco dopo che il complotto in Moldova era stato sventato, sono emerse prove della componente balcanica dell’operazione in Serbia e Bosnia-Erzegovina, dove le autorità hanno iniziato a individuare siti di addestramento clandestini e a ricostruirne i legami con Mosca.
Queste rivelazioni hanno ulteriormente arricchito le prove dell’interferenza russa senza precedenti nella politica moldava, confermando la strategia attuale di Mosca, che consiste nel fare affidamento su delegati locali e agenti sacrificabili per condurre le proprie operazioni. Il rapporto investigativo di Birn e Cu Sens ha offerto testimonianze dirette sulla gestione di questi campi di addestramento. Secondo quanto emerso dalle interviste con Maxim Roșca, uno dei partecipanti, a lui e ad altri cittadini moldavi era stato promesso un compenso tra i 300 e i 500 dollari per dieci giorni di formazione. Roșca ha anche affermato che l’imprenditore moldavo Anatolii Prizenko aveva reclutato lui e altri partecipanti. Prizenko è stato sanzionato dall’Unione Europea nel dicembre 2024 per aver presumibilmente inviato diversi cittadini moldavi, su ordine della Direzione generale dello Stato Maggiore russo (Gru), a disegnare la Stella di David nei pressi di Parigi nell’ottobre 2023, con l’obiettivo di alimentare le tensioni sociali in Francia in relazione al conflitto a Gaza. La versione fornita da Roșca è stata confermata anche dalla parlamentare moldava Lilian Carp, esponente del Partito d’azione e solidarietà, filoeuropeo e attualmente al governo, nonché presidente della Commissione parlamentare per la Sicurezza. Carp ha dichiarato: “In Bosnia, (i partecipanti) si sono addestrati all’uso dei droni e hanno appreso come organizzare rivolte di massa e provocare reazioni violente da parte della polizia”.
Il tentativo del Cremlino di influenzare le elezioni presidenziali in Moldova a favore del candidato appoggiato da Mosca, Alexandr Stoianoglo, è solo un esempio di una lunga lista di operazioni russe condotte nei Balcani. Mosca considera da tempo la regione balcanica come una linea del fronte nel suo confronto con l’Occidente. Ogni volta che i Paesi della regione cercano una maggiore integrazione con la Nato o con l’Unione ruropea, la Russia risponde con sotterfugi e destabilizzazione. Un esempio noto è stato il tentato colpo di stato in Montenegro nel 2016. Alla vigilia dell’adesione del Montenegro alla Nato, ufficiali russi del Gru avrebbero orchestrato un complotto per assaltare il parlamento e assassinare il primo ministro filo-occidentale, insediando al suo posto un governo filo-moscovita. Il piano è stato sventato e il Montenegro è entrato a far parte della Nato nel 2017. Le successive condanne giudiziarie degli agenti del Gru e dei cospiratori locali hanno sottolineato il coinvolgimento del Cremlino. Le operazioni russe nei Balcani non si limitano ai complotti golpisti. Comportano anche l’addestramento ideologico e paramilitare delle popolazioni locali, spesso sotto forme innocue.
Ad esempio, nell’agosto 2018, le autorità serbe hanno chiuso un cosiddetto “campo giovanile patriottico” nel distretto serbo di Zlatibor, gestito congiuntamente da veterani di guerra russi e serbi. La Russia utilizza inoltre piattaforme civili regionali come copertura per un più ampio sfruttamento regionale. Nel 2012, Russia e Serbia hanno concordato di istituire un centro umanitario congiunto nella città serba di Niš, ufficialmente responsabile dell’assistenza umanitaria alle persone colpite da emergenze e dell’attuazione di progetti e programmi congiunti. In pratica, tuttavia, il centro offre alla Russia un punto d’appoggio su una rotta logistica regionale critica vicino ai confini della Serbia con il Kosovo e la Bulgaria, membro della Nato. Funzionari occidentali hanno segnalato comportamenti sospetti, come i ripetuti sforzi del centro per garantire lo status diplomatico al suo personale, una tattica comune che la Russia usa per nascondere le sue spie dietro l’immunità concessa ai diplomatici. Nel 2022, ricercatori open source del Kosovo hanno documentato casi di rifornimenti recanti l’insegna del corridoio umanitario che emergevano nelle aree del Kosovo settentrionale controllate da gruppi nazionalisti serbi allineati con il gruppo criminale organizzato Veselinović.
Anche il leader del gruppo russo “Lupi della notte”, Aleksandr Zaldostanov, ha confermato che alcuni dei suoi membri hanno contribuito a trasportare questi rifornimenti dal centro umanitario al Kosovo settentrionale. Questi esempi di strategie ideologiche e di sicurezza rivelano un modello operativo ricorrente del Cremlino: creare piattaforme civili, infiltrarsi nella società locale, cooptarne i membri e utilizzarli per operazioni segrete. L’impiego dei Balcani da parte di Mosca come base per attività clandestine è facilitato dalla presenza di alleati locali e da un contesto favorevole in alcune aree della regione. La Serbia, in particolare, rappresenta un punto strategico: mantiene forti legami con la Russia, adotta una posizione di neutralità militare e non fa parte della Nato. La sua leadership ha scelto una linea di equilibrio tra Oriente e Occidente, rendendo il Paese un ambiente più accessibile per le attività russe rispetto ai vicini appartenenti all’Alleanza Atlantica. I Paesi amici della regione fungono da hub logistici e basi di reclutamento per Mosca, mentre quest’ultima prende di mira gli avversari altrove. I campi di addestramento nei Balcani ne sono un esempio. La Serbia e la Repubblica Srpska autonoma della Bosnia-Erzegovina, guidata dal leader filorusso Milorad Dodik, sono state utilizzate come basi per proiettare l’influenza del Cremlino in Moldova. Coltivando reti regionali di veterani, gruppi paramilitari e organizzazioni politiche marginali, la Russia può condurre missioni dirompenti oltre confine con il pretesto di una plausibile negazione.
Le operazioni russe nei Balcani non sono progetti isolati e scollegati. Piuttosto, fanno parte di un fenomeno più ampio: l’evoluzione della definizione di guerra da parte di Mosca. Valery Gerasimov, capo di Stato Maggiore russo, ha articolato il principio secondo cui nei conflitti moderni “il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, hanno superato la potenza delle armi in termini di efficacia”. Questa filosofia è evidente nell’affidamento della Russia a strumenti come attacchi informatici, disinformazione, coercizione economica e forza clandestina, piuttosto che all’azione militare aperta. L’uso di campi di addestramento per procura nei Balcani, insieme ad altri casi di disgregazione in Europa, riflette una più profonda evoluzione nel pensiero militare russo, ovvero la ridefinizione stessa della “guerra”. Questo concetto ampliato di guerra tratta le operazioni sovversive non come separate o meno della guerra aperta, ma piuttosto come componenti integranti di essa. L’approccio russo al conflitto è globale, opportunistico e svincolato dai limiti tradizionali. La visione di Mosca della guerra è quindi molto più ampia delle concezioni occidentali convenzionali, il che contribuisce a spiegare le misure incoerenti adottate in risposta alle azioni sovversive russe.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
Aggiornato il 04 agosto 2025 alle ore 10:57