Uk, l’allarme conti pubblici avvicina un secondo “momento Truss”

Il sesto debito pubblico più alto, il quinto deficit più alto e il terzo costo del denaro più caro, tra le 36 economie più avanzate: chi vorrebbe oggi stare nei panni di Sir Keir Starmer, assediato dai creditori e dagli oppositori di un partito laburista sempre più spaccato? Oltre alla Francia, anche la Gran Bretagna rischia di saltare in aria in autunno sulla legge di bilancio. A questo punto, è davvero tutto possibile. Anche perché, se la soluzione sarà una massiccia riduzione della spesa (sociale), la fronda a Westminster non si limiterà a qualche informazione scomoda passata ai tabloid, ovviamente sotto anonimato. Ed è un malcontento che, nelle prossime settimane, potrebbe fare già una vittima illustre. Non sembra infatti più così salda la posizione di Rachel Reeves. Il cancelliere dello scacchiere non è riuscito ad avviare il risanamento dei conti, come promesso. A giugno, il Regno Unito si è indebitato più del previsto: 20,7 miliardi di sterline, 4 miliardi in più di quanto stimato e un aumento di 6,6 miliardi rispetto a giugno 2024.

Tra gli analisti della City non si esclude un secondo “momento Liz Truss”, memori di quanto accadde 3 anni fa, con i mercati che reagirono malissimo (tassi d’interesse alle stelle, intervento della Bank of England) al mini-piano di crescita presentato da Kwasi Kwarteng il 23 settembre, che si dimise dopo 3 settimane e cui fecero seguito le dimissioni della premier Truss, dopo appena 49 giorni dal suo arrivo a Downing Street. Il “momento Truss”, che il mondo finanziario aveva in realtà preconizzato anche per Donald Trump ad aprile, nasce dal fatto, si fa notare, che superare le aspettative di indebitamento stia diventando la norma e che il suo forte aumento rispetto allo scorso anno è il segnale principale che il governo ha ormai perso il controllo delle finanze pubbliche. Gli analisti non si nascondono più, e anche da quest’altra parte della Manica concordano sulla possibilità di un secondo “momento Truss”. La modalità, avvertono non senza ironia, è favorevole all’ “okay panico”, non fosse altro per un’impennata della spesa pubblica considerata “problematica”, che rende “preoccupante” la situazione della Gran Bretagna, che in questo momento è tra i Paesi sviluppati con il più alto debito pubblico. Nello specifico l’Office for Budget Responsibility (Obr), responsabile (indipendente) dell’analisi delle finanze pubbliche britanniche, sottolinea che il Regno Unito ha “il sesto debito pubblico più alto, il quinto deficit più alto (4,5 per cento del Pil) e il terzo costo del denaro più alto tra le 36 economie avanzate”. Le finanze pubbliche sono su un percorso “insostenibile”, ha avvertito il responsabile, Richard Hughes, con un debito che potrebbe raggiungere il 270 per cento del Prodotto interno lordo entro il 2070 se non si interviene in modo significativo per arginare la spirale. L’Obr critica l’allentamento delle regole sui prestiti, deciso da Rachel Reeves durante l’ultima legge di bilancio, per finanziare investimenti: regole che Hughes definisce “tra le più permissive che abbiamo mai avuto”. Il problema per Downing Street è che la Banca d’Inghilterra, a differenza della Banca centrale europea, non interviene massicciamente sul mercato azionario, poiché si concentra da sempre, ricordano dalla City, sul controllo dell’inflazione.

A Francoforte, invece, in caso di crisi, la visione è impostata per creare un cuscinetto di sicurezza che richiede un intervento a lungo periodo, laddove a Londra l’approccio è diverso, e consiste nella necessita di spegnere rapidamente l’incendio. È il motivo per cui, come sanno bene gli investitori, un Paese come la Francia, per esempio, può permettersi una maggiore generosità fiscale rispetto al Regno Unito, grazie all’azione della Bce. Nei giorni scorsi, Starmer ha avviato l’operazione simpatia verso i mercati, assicurando che il prossimo budget non aumenterà le tasse, ma si concentrerà sulla creazione di maggiore ricchezza e sulla garanzia di un’economia in crescita e prospera. Niente aumenti, dunque, per imposta su reddito, Iva o contribuiti per i dipendenti. Ma a rassicurare davvero gli investitori potrà essere solo un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile, attualmente 66 anni e già prevista a 67 anni entro il 2028. La spesa per le pensioni pubbliche è salita dal 2 per cento del Pil, dalla metà dello scorso secolo, al 5 di oggi, con la previsione che supera il 7 entro il 2070. A causa di 2 ragioni, spiega l’Obr: l’invecchiamento della popolazione e la rivalutazione annuale che oscilla intorno al 2,5 per cento. Un meccanismo che è già costato 3 volte di più del previsto, e che ormai è considerato insostenibile a lungo termine. Per mantenerlo, invece, l’alternativa è l’aumento dell’età pensionabile a 74 anni nel 2065.

Tra all’aumento delle tasse (che affosserà i mercati) e l’ennesimo taglio delle spese (che solleverà un popolo, un elettorato, una massa) c’è un partito laburista ormai lacerato. Dalla City sostengono che il governo non ha molti margini di manovra per aumentare le tasse. Non resterebbe, quindi, che affidarsi all’ennesimo “momento Thatcher”. Ma la nuova scure sulla spesa sociale potrà scatenare una rivolta nel labour, con possibile approvazione di una mozione sfiducia e nuove elezioni entro i prossimi 6-8 mesi. Good luck, Sir Keir.

Aggiornato il 01 agosto 2025 alle ore 10:28