
Il vertice sulla sicurezza alimentare. Nel cuore del Continente africano. Addis Abeba, un ospite più che simbolico per il summit sui sistemi alimentari delle Nazioni unite. Un’edizione presieduta in tandem da Etiopia e Italia, per provare a dare una svolta nella ridefinizione delle priorità globali. “È la prima volta che questo vertice si tiene in Africa, abbiamo deciso di organizzarlo qui non solo perché l’Italia ha una relazione speciale con l’Etiopia ma anche perché crediamo che sia essenziale coinvolgere il continente come protagonista nelle scelte e nelle azioni della comunità internazionale”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha aperto i lavori, in presenza nella capitale, ponendo l’accento su una visione che ribalta l’approccio assistenzialista, per lasciare spazio a un partenariato strutturale e orizzontale.
Il tema della sicurezza alimentare, al centro del summit, è stato definito da Meloni come “una delle sfide prioritarie”, in un contesto segnato da profonde vulnerabilità: “L’insicurezza alimentare colpisce il 10 per cento della popolazione mondiale, una percentuale largamente concentrata in Africa dove una persona su cinque soffre la fame e non ha accesso a cibo in modo sufficiente e sicuro. Una situazione già complessa, che è stata esacerbata dalle crisi internazionali, dalla pandemia, dall’aggressione russa all’Ucraina. E noi sappiamo molto bene che se le persone non hanno accesso sufficiente al cibo o perdono la capacità di produrlo le conseguenze possono essere catastrofiche” perché “la povertà peggiora, i conflitti si intensificano e le comunità diventano più vulnerabili alla violenza, al terrorismo, alla migrazione forzata”. L’eterna connessione tra cibo, sicurezza e stabilità globale. Un triangolo che Meloni ha riletto anche in chiave economica: l’insicurezza alimentare è “una questione politica” ma anche “economica”, perché “i sistemi alimentari sono un motore di crescita e sviluppo, sia per le nazioni più fragili che per quelle economicamente più solide”.
È proprio da questa prospettiva che il governo italiano intende radicare l’approccio del Piano Mattei, “a partire dall’agroalimentare, settore in cui l’Italia vanta know how unico che coniuga tradizione e innovazione”, con l’obiettivo di aiutare le comunità africane a “prosperare” attraverso le risorse di cui dispongono, “generando occupazione e una crescita stabile e duratura”. La premier ha fornito anche dati concreti sull’implementazione di questo modello in diversi Paesi del Continente: “Stiamo sperimentando con successo questo approccio in Algeria – ha spiegato – dove stiamo lavorando per bonificare oltre 36mila ettari di deserto per produrre fino a 40-45mila tonnellate di cereali e legumi aggiuntivi all’anno, creando 6.000 posti di lavoro e generando benefici per oltre 600mila persone”. Iniziative analoghe sono in corso in Senegal, Ghana e Congo, e sono in fase di estensione anche in Costa d’Avorio e Kenya.
Il rafforzamento delle competenze locali, secondo la visione espressa da Meloni, è la leva per un’autentica autonomia. “Il nostro progetto – ha aggiunto – sta funzionando anche in Tunisia, dove stiamo rafforzando le capacità e le competenze per l’utilizzo dell’acqua, una risorsa attorno alla quale si profila una crescente sfida geopolitica e di sovranità”. Un piano multilivello, quello italiano, che si articola anche grazie alla cooperazione con l’Unione europea: “Abbiamo scelto di applicare questa visione anche ad altri progetti, come quello sviluppato insieme al Global Gateway dell’Ue, che combina risorse finanziarie europee e capitali privati per sostenere lo sviluppo delle filiere di produzione del caffè in diverse nazioni africane”. Senza dimenticare l’elemento cruciale della formazione, da considerare parte integrante del sistema: “Solo pochi giorni fa abbiamo firmato un accordo per la creazione di un centro di formazione professionale agricola in Algeria, che fungerà da punto di riferimento per il Sahel e l’intera Africa”.
Tutto ciò seguendo il principio cardine della sovranità alimentare, tema caro al Governo Meloni. “Il nostro obiettivo – lo abbiamo affermato in più occasioni – non è creare dipendenza, ma sostenere l’autosufficienza. Questo obiettivo implica anche quella che di solito chiamiamo sovranità alimentare, il diritto delle persone a plasmare il proprio modello produttivo in base alla propria identità”. Con un’attenzione particolare alla qualità e alla valorizzazione dei prodotti locali: “Sovranità alimentare – ha sottolineato – significa non accettare la standardizzazione della produzione alimentare, che abbassa la qualità e concentra la ricchezza, ma investire nella promozione di prodotti locali di alta qualità”. In quest’ottica, la premier ha richiamato l’impegno italiano per promuovere le Indicazioni geografiche africane nei mercati europei e globali, valorizzando il ruolo centrale dei piccoli produttori: “I piccoli e medi agricoltori e le loro famiglie sono la spina dorsale dei sistemi agricoli e ambientali. Sono i principali custodi del territorio e devono essere garantiti i mezzi per vivere dignitosamente e con un giusto riconoscimento del loro lavoro”.
La chiusura del discorso si è affidata a una citazione dell’antichità classica: “Cicerone, uno dei più importanti filosofi dell’antica Roma – cita la premier – affermò che di tutte le arti da cui si trae profitto, nessuna è migliore dell’agricoltura, nessuna più redditizia, nessuna più dolce, nessuna più degna di un uomo, e di un uomo libero”. Un richiamo che Meloni ha rilanciato in chiave moderna: “Migliaia di anni dopo, questo insegnamento è ancora valido e ci indica la via da seguire. Il cibo è un diritto, un’espressione culturale, il pilastro dell’identità e della sovranità di una nazione. Ma è anche il primo passo per essere veramente liberi, indipendenti e padroni del nostro destino”.
Aggiornato il 28 luglio 2025 alle ore 16:21