Lettera aperta alla ministra Gila Gamliel

Gentile ministra,

la pubblicazione del suo video sulla “Gaza del futuro”, accompagnata da una narrazione che nega esplicitamente ogni traccia di presenza palestinese nella Striscia, non rappresenta semplicemente un’iniziativa provocatoria, ma è anche, a mio parere, un errore politico. Lo è per chi dissente radicalmente dalla sua visione; lo è per chi, pur condividendo la necessità di un cambiamento radicale a Gaza, non ne condivide le modalità, pur magari concordando con Lei che le altre due soluzioni scartate potrebbero in futuro comportare un numero maggiore di vittime civili; ed è un errore perfino per alcuni che, come Lei, credono che solo un azzeramento dell’attuale assetto possa garantire la sicurezza di Israele. Per chi non condivide l’idea di una Gaza “senza palestinesi”, quel video è l’esibizione crudele di un progetto di annientamento, la cui violenza simbolica precede e giustifica quella reale. Per chi è solo parzialmente d’accordo con l’analisi da lei suggerita, si tratta di una proposta incapace di cogliere la complessità del conflitto, e dunque destinata a radicalizzarne le tensioni invece che a superarle. Ma è soprattutto da un punto di vista squisitamente strategico che questa scelta rischia di rivelarsi miope, perché anche per molti di coloro che nel mondo sostengono il diritto d’Israele di difendersi nei modi che considera più efficaci per garantire la sicurezza dei suoi cittadini l’adozione di un linguaggio che esclude ogni riconoscimento politico di chi si è opposto ai suoi nemici rischia di rivelarsi controproducente.

In particolare, disconoscere i diritti di chi ha subito, insieme alle vittime e agli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023, le maggiori conseguenze nefaste di quell’attacco infame senza aver inteso provocarle, e cioè di quella parte del popolo di Gaza che non si identifica con Hamas, e che anzi ne ha coraggiosamente denunciato i crimini mettendo anche in pericolo la propria vita, rischia di precludere ogni possibile alleanza contro un nemico comune. Non si rafforza una nazione e non se ne garantisce la sicurezza trattando allo stesso modo i propri nemici e chi si è opposto ai propri nemici, ma la si indebolisce, oltre che sotto il profilo morale, anche sotto quello diplomatico e geopolitico. Per chi non ne conoscesse il contenuto, riassumiamo qui succintamente le alternative in da Lei sottoposte all’attenzione dei suoi colleghi: secondo la prima, la popolazione di Gaza dovrebbe rimanere a Gaza sotto un nuovo Governo da definire; in base alla seconda, dovrebbe instaurarsi un Governo arabo locale; mentre secondo la terza, quella da lei auspicata, dovrebbe essere rimossa l’intera popolazione palestinese da Gaza tramite una “evacuazione umanitaria volontaria” e “l’assorbimento in vari Paesi del mondo arabo e in altri Paesi disposti ad assorbire i rifugiati”. Ma come conseguire un simile obiettivo? Secondo questa terza ipotesi bisognerebbe prima procedere allo sfollamento forzato dalle zone di guerra, che ormai costituiscono la quasi totalità del territorio della Striscia, e poi cercare d’instillare nella popolazione un senso di fallimento e scoramento.

Senza commentare qui quest’ultima ipotesi, dai risvolti interpretati decisamente inquietanti, crediamo che esista invece una quarta via, che non comporta il ritorno al dominio di Hamas, né la prosecuzione indefinita dello status quo, né tantomeno l’annientamento o l’allontanamento dalla Striscia di un’intera popolazione. Si tratta di affidare l’amministrazione della Striscia a una nuova alleanza tra quei cittadini gazawi che hanno avuto il coraggio di opporsi alla dittatura islamista e quegli israeliani che, nel proprio stesso Paese, si battono da anni per una pace giusta, fondata sulla coesistenza e sul rispetto reciproco. Questa forma inedita di Governo misto, israelo-palestinese, potrebbe prendersi cura – con la supervisione dei quei Paesi arabi che erano già in procinto di aderire agli Accordi di Abramo, d’Israele e dell’Autorità nazionale palestinese – dei diritti di tutti i residenti, costruendo una struttura civile condivisa e orientata alla riconciliazione. È un’utopia? Forse. Ma ogni pace duratura nasce da una visione audace. Il simbolo di questa collaborazione potrebbe essere, perché no, una doppia bandiera — israeliana e palestinese — issata insieme come segno di una sovranità condivisa, con la prospettiva, tra alcuni anni, di un referendum libero e controllato internazionalmente per stabilire il destino politico definitivo della Striscia. Questo progetto, se attuato, rappresenterebbe per la comunità democratica globale la prova concreta che due popoli storicamente nemici possono, insieme, generare un modello di coabitazione civile, in grado di garantire a tutti pace e benessere.

Il fatto che un simile scenario non sia stato da Lei nemmeno approssimativamente preso in considerazione rischia di far scivolare tanto il popolo israeliano quanto quello palestinese nel vicolo cieco di una guerra infinita. Caldeggiando una strategia che considera l’allontanamento di tutto il popolo di Gaza dalla Striscia una precondizione della pace, si rischia infatti di rendere sempre più inverosimile quel reciproco riconoscimento di due Stati che potrebbe garantire in futuro una pacifica convivenza, perché qualsiasi progetto politico che non tenga conto dei diritti e delle legittime speranze di tutte le vittime che hanno subito le conseguenze della strategia criminale di Hamas, mettendole anzi le une contro le altre, può solo condurre ad accordi transitori ed effimeri, fondati sull’esclusione e sull’odio, sul risentimento e l’equivoco. Nel 2025, costringere ancora l’umanità a scegliere tra “noi o loro” non è solo una tragedia: è un fallimento morale e politico. E i fuochi d’artificio del suo video, tanto scintillanti quanto retorici, non celebrano un futuro di prosperità, ma la rimozione di una parte dell’umanità, e di una parte che ha subito le conseguenze di una strategia che l’ha considerata solo come scudo umano e carne da macello per cercare d’isolare geopoliticamente il Paese di cui Lei è un’autorevole rappresentante.

Ma precludendo la nascita di rapporti costruttivi anche con quei palestinesi che si sono opposti ad Hamas si riuscirà a rendere quest’organizzazione criminale vittoriosa anche da sconfitta, consentendole di conseguire quel progressivo isolamento geopolitico di Israele cui aspirava utilizzando il sangue dei gazawi. In questo modo, le residue speranze di poter arrivare a una pace stabile verranno affossate, esponendo tanto il popolo israeliano quanto tutti quei palestinesi che hanno avuto il coraggio di opporsi ad Hamas al rischio concreto di dover affrontare in futuro altri lutti e forse ancora più terribili tragedie. Augurando a Lei e al Governo israeliano un buon lavoro – che dal mio punto di vista dovrebbe essere anche volto a sondare fino in fondo la possibilità di questa quarta via – Le porgo i miei cordiali saluti.

Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 11:53