Infanzie rubate: i piccoli ostaggi del Cremlino

Il presidente russo Vladimir Putin faticava a distinguere i nomi scritti in caratteri minuscoli sullo schermo di fronte a lui. Erano 339 in tutto: ognuno rappresentava un bambino ucraino scomparso, prelevato dalla zona di guerra e – secondo le autorità di Kyiv – deportato con la forza in Russia. Era la prima volta che Putin si trovava pubblicamente di fronte a una simile lista. Non sembrò prestarle particolare attenzione. Era una calda giornata moscovita, esattamente tre anni, tre mesi e undici giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. In linea con la riservatezza mantenuta durante tutto il conflitto, Putin aveva convocato una riunione virtuale con i suoi ministri e collaboratori. I loro volti tesi erano disposti in piccoli riquadri sullo schermo, mentre lui sedeva da solo alla sua scrivania. L’agenda era fitta. Solo tre giorni prima, la guerra aveva oltrepassato un’altra soglia: un’ondata di droni ucraini, a basso costo e introdotti clandestinamente, aveva colpito diversi aeroporti militari russi, danneggiando o distruggendo aerei da guerra per un valore di miliardi di dollari. Il giorno successivo, delegazioni di Russia e Ucraina si erano incontrate a Istanbul per un nuovo round di colloqui di pace. Putin voleva un aggiornamento: chiese al suo capo negoziatore, Vladimir Medinsky, di riferire i punti salienti.

Dopo pochi minuti, Medinsky menzionò la lista dei bambini ricevuta dagli ucraini. “Questi cosiddetti bambini rapiti”, dichiarò, “sono stati salvati dai nostri soldati, evacuati sotto il fuoco nemico”. Passando in rassegna i nomi, aggiunse: “Dovremo capire quanti di loro sono qui con noi”. Putin non commentò. La riunione passò ad altri temi. All’estero, la deportazione di questi bambini è considerata un crimine di guerra. In Russia, sembra tutt’altro che una priorità. Negli ultimi mesi, infatti, la questione dei minori è stata progressivamente marginalizzata nei negoziati di pace, alimentando in Ucraina il timore che molti di loro non tornino mai più. Più a lungo resteranno in Russia, più difficile sarà riportarli a casa e reintegrarli. L’indottrinamento e la propaganda hanno già fatto danni. Serhii, un bambino di undici anni, ha rifiutato di parlare con la sua famiglia dopo aver trascorso pochi mesi in affidamento presso una famiglia russa. “Gli hanno fatto il lavaggio del cervello”, racconta la sorella maggiore, Kseniia Koldin, che alla fine è riuscita a riportarlo in Ucraina. “Gli avevano detto che il nostro Paese era stato distrutto e che sarebbe morto di fame se fosse tornato”. Secondo i dati di Kyiv, circa 1.200 bambini sono stati rimpatriati dall’inizio della guerra, grazie soprattutto agli sforzi delle famiglie e di alcune ong. A Istanbul, gli inviati ucraini hanno chiesto il ritorno immediato di altri 339 minori, sperando che il Cremlino potesse considerare quel gesto un’opportunità per dimostrare buona fede nei negoziati.

Le autorità ucraine stimano che almeno 19.546 bambini si trovino ancora in Russia. Un’indagine indipendente dell’Università di Yale ha identificato oltre 8.400 bambini “trasferiti sistematicamente” dalla Russia, grazie all’analisi di fonti pubbliche, media russi e post sui social. Il programma di ricerca, inizialmente sostenuto da fondi statunitensi, ha visto tagliare i finanziamenti a marzo nell’ambito della sospensione generale degli aiuti esteri da parte della Casa Bianca. Da allora, sopravvive solo grazie al sostegno di donatori privati. Negli Stati Uniti, il tema dei bambini scomparsi è stato sollevato ripetutamente da parlamentari. A maggio, un gruppo bipartisan di senatori ha presentato una risoluzione che chiede il ritorno di tutti i minori ucraini prima della firma di qualsiasi accordo di pace. “Volevamo che fosse parte integrante delle trattative”, ha dichiarato il senatore Roger Wicker, presidente della Commissione forze armate del Senato e promotore della risoluzione. La pressione più incisiva su Putin, però, è arrivata dall’Aja. Nel marzo 2023, la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per il presidente russo, accusandolo del “trasferimento illegale” di bambini ucraini in territorio russo. Con tale accusa, Putin rischia l’arresto in ognuno dei 125 Paesi che riconoscono la giurisdizione della Corte, tra cui l’intera Europa, il Sud America e buona parte dell’Africa.

Nei media statali russi, la narrazione è diametralmente opposta. L’adozione e la rieducazione dei bambini ucraini vengono presentate come gesti di altruismo patriottico. Maria Lvova-Belova, commissaria del Cremlino per i diritti dell’infanzia, si è vantata in televisione con Putin, raccontando di aver adottato personalmente un adolescente ucraino. “È grazie a te”, gli ha detto. Lvova-Belova è l’unico altro funzionario russo incriminato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, con le stesse accuse di Putin. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy rifiuta categoricamente l’idea di considerare i bambini prigionieri di guerra, nonostante ciò possa teoricamente renderli oggetto di scambi. “Non può essere uno scambio”, ha dichiarato. “Non siamo in un altro secolo. Non si tratta di comprarli per tirarli fuori dalla schiavitù”. Per lui, c’è una sola via per riportarli a casa: una pressione internazionale costante e risoluta. Sanzioni, sostegno militare, mandati d’arresto – qualunque strumento utile a forzare la mano del Cremlino. “Tutto dipende dalla volontà dei leader del mondo”, afferma Zelenskyy. “Chi ha il potere può esercitarlo per ottenere una sola cosa: che Putin restituisca i nostri bambini”.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 22 luglio 2025 alle ore 12:31