
C’è del genio nella sua (presunta) follia? Sua di Donald Trump e del suo staff, intendo. E c’è follia nel (nostro, presunto) genio? E soprattutto nella nostra supponenza? Nostro inteso in entrambi i casi come europeo. A monte, prima di tutto, è stata di certo azzardata, se non scorretta, la condotta delle classi dirigenti europee nel corso dell’intera campagna elettorale Usa. Impegnati come un sol uomo (e una sola donna) accanto ai candidati democratici. Prima al presidente uscente Joe Biden, anche quando la sua salute era palesemente e gravemente minata. Poi al fianco di Kamala Harris, che negli States molti dei principali commentatori filo-democratici avevano tacciato di essere stata la palla al piede della Presidenza Biden da vicepresidente. Tanto che molti democratici fino alla primavera 2024 avevano chiesto a Kamala Harris un passo indietro e l’abbandono del ticket. Persino un politico molto meno umorale e ruvido (per usare un eufemismo) di Trump se la sarebbe legata al dito. E non a torto. Una ingerenza del genere in una elezione nel campo occidentale non si ricordava più da decenni. Perlomeno inedita nel post caduta del Muro di Berlino. Figuriamoci con un politico in campo della tempra (e dell’understatement, mi sia consentita l’ironia) di Trump.
Come dire? Chi rompe paga e i cocci sono suoi. Il problema è che a raccogliere i cocci non sono le élite (politiche, istituzionali, economiche, intellettuali, artistiche) del Vecchio Continente ma i cittadini comuni, i piccoli e medi imprenditori, chi desiderava avviare un’attività. Le élite continuano a intonare la solfa del male al suo Paese che starebbe arrecando Trump ma, come dicevano i miei anziani nati nell’Ottocento nel Salernitano, “la festa è quando si torna, non quando si va”. E per ora non sembra arrivata neanche la meta, figuriamoci pensare al ritorno. È stato ricordato – magari senza citare l’autore dell’errore – che quando nel 2009 il presidente Barack Obama impose tariffe del 35 per cento sugli pneumatici cinesi ne derivò – il calcolo è di Gary Clyde Hufbauer, specialista di commercio e tassazione internazionali – un aumento del prezzo degli pneumatici, perfino quelli fabbricati negli Usa; un trasferimento degli acquisti dalla Cina al Messico e ad altri Paesi asiatici; la distruzione di 4mila posti di lavoro nella catena commerciale e dei servizi statunitensi a fronte della creazione di soli mille nuovi posti di lavoro nell’industria.
A fronte di questi dati, che fotografano una realtà ristretta in tutti i sensi, esiste, si potrebbe ribattere, perlomeno un esempio contrario, dalle dimensioni ben più ampie: la Corea del Sud ha costruito la sua potenza industriale anche grazie a una muraglia tariffaria. La realtà è che nella politica economica di Trump, soprattutto nei confronti dell’Europa, non c’è solo la ripicca verso l’Ue né una specie di amore spasmodico per i diritti doganali, quale negli Usa non si vedeva perlomeno da un secolo. Esistono obiettivi ben precisi e tutt’altro che velleitari o addirittura folli, come sono stati bollati. Il primo obiettivo è il deprezzamento del dollaro. Con un dollaro ai livelli di sei mesi fa gli Usa sarebbero finiti in breve a non produrre più nulla e a non ricevere neanche un turista mentre i cittadini americani sarebbero sciamati al contrario per il mondo, creando ricchezza all’estero. Il secondo è un incremento consistente delle entrate doganali, destinate a diventare, anche nel caso di una forte riduzione dei cosiddetti dazi minacciati dalla Casa Bianca, una delle principali entrate pubbliche Usa, in grado di finanziare il taglio delle tasse e anche eventuali interventi sul debito pubblico.
Il terzo è la riduzione della rendita di cui, secondo Trump, godono le imprese straniere che vendono negli Usa. Non tanto tramite l’imposizione dei dazi, quanto con il trasferimento negli Usa di una parte della produzione (con la conseguente creazione di posti di lavoro e quindi con la garanzia di nuove entrate fiscali), una porzione di questa rendita dovrebbe ridursi a favore dell’economia Usa. Tanto più l’economia reale, alla quale tanto tengono Trump e i propri elettori. Riuscirà il presidente Trump a raggiungere i suoi obiettivi? Si vedrà. Rimane da risolvere anche il problema della tenuta del debito pubblico Usa, ma questo allo stato pare più che altro una discussione scolastica. Di certo, il ritorno dalla festa è ancora lontano. Molto più di quanto danno per certo (o quasi) nelle cancellerie europee e soprattutto nel cosiddetto quartiere europeo di Bruxelles.
Aggiornato il 22 luglio 2025 alle ore 11:16