Israele colpisce Damasco, esercito si ritira da Sweida

Israele alza il livello del confronto regionale e amplia il raggio della propria azione militare in Siria, colpendo direttamente il cuore del potere a Damasco. L’aviazione dello Stato ebraico ha preso di mira il Ministero della Difesa e la sede dello Stato maggiore, mentre lancia un messaggio politico e militare inequivocabile: fermare l’offensiva delle forze governative sulla roccaforte drusa di Sweida, dove in appena tre giorni si sono registrate oltre 300 vittime, 180 delle quali tra i ranghi dell’esercito siriano. “I colpi più pesanti sono partiti”, ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, dopo i bombardamenti sulla capitale. Un avvertimento che inaugura il prossimo livello della campagna di pressione estesa nel quadrante sud-ovest siriano. Nella centrale piazza degli Omayyadi, adiacente agli edifici governativi colpiti, si sono vissute scene di caos: automobilisti in fuga, civili terrorizzati e colonne di fumo bianco filmate da ogni angolazione. Secondo il Ministero della Sanità siriano il bilancio provvisorio è di 3 morti e 34 feriti, ma Reuters riporta “7 militari uccisi”. Le autorità locali sostengono che le sezioni degli edifici colpite fossero vuote.

Mentre le bombe israeliane piovono su Sweida e Daraa, Tel Aviv mostra di voler assumere un ruolo dominante nell’area di confine. Israele ha finora lasciato passare l’ingresso trionfale delle forze di Damasco a Sweida, martedì mattina, dopo che i lealisti avevano dichiarato sconfitti “i gruppi fuorilegge” drusi. Ma le incursioni di oggi attorno alla città – dove sarebbero stati uccisi una decina di soldati siriani – segnano un cambio di tono. Nel frattempo, gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato Marco Rubio, prima esprimono “preoccupazione” per la spirale di violenza, poi si mostrano prudentemente fiduciosi dopo l’annuncio del cessate il fuoco. “La situazione in Siria è complicata”, ha dichiarato Rubio dalla Casa Bianca. “Ma siamo sulla strada della de-escalation, nelle prossime ore speriamo di vedere qualche progresso per mettere fine a ciò che abbiamo visto”.

Il cessate il fuoco è arrivato nel tardo pomeriggio. Governativi e milizie druse hanno fermato i combattimenti a Sweida, dopo tre giorni di scontri violentissimi. Quasi tutti i rappresentanti religiosi e civili della città hanno riconosciuto l’autorità centrale di Damasco, che ha già annunciato di aver ripreso il pieno controllo della regione. Israele, però, ha chiarito che la propria presenza militare nel sud della Siria non è negoziabile. Oltre a “proteggere i drusi”, come dichiarato ufficialmente, l’obiettivo israeliano resta quello di impedire “una forza armata governativa siriana nel sud del Paese”. La situazione nella comunità drusa è resa ancor più complessa dai legami trasversali con i drusi di Libano, Galilea e soprattutto del Golan, l’altopiano siriano sotto l’egida israeliana dal 1967. Proprio da qui, alcune centinaia di drusi hanno tentato di varcare la linea del cessate il fuoco per unirsi ai combattenti oltre confine, scontrandosi con l’esercito israeliano. Un episodio senza precedenti nella storia recente del conflitto siriano.

La regione drusa, che durante la guerra civile esplosa nel 2011 aveva conservato un certo grado di autonomia, è oggi oggetto di mire esplicite da parte del nuovo regime di Damasco, guidato dall’ex comandante qaedista Ahmad Sharaa, noto come al-Jolani. Dopo aver di fatto legittimato il massacro di 1.500 civili sciiti-alawiti sulla costa lo scorso marzo, e aver sostenuto gli attacchi alle enclavi druse di Damasco a maggio, il nuovo vertice siriano attendeva da tempo l’occasione per muovere militarmente su Sweida, area strategica al confine con la Giordania. Secondo fonti diplomatiche, proprio lo scorso fine settimana in Azerbaigian, emissari siriani e israeliani avrebbero preso parte a un colloquio riservato per discutere alcuni nodi aperti nel processo di normalizzazione bilaterale, un percorso ancora teorico, considerato che formalmente i due Paesi sono in stato di guerra dal 1948.

HAMAS NEGA PROGRESSI PER CESSATE IL FUOCO

Sul fronte di Gaza, Hamas gela ogni speranza di avanzamenti nel negoziato. Un alto esponente del movimento palestinese ha infatti smentito ogni ipotesi di intesa imminente con Israele, denunciando l’assenza di un piano concreto per il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia. “(Israele) non ha ancora consegnato alcuna mappa nuova o rivista riguardante il ritiro dei militari dalla Striscia di Gaza”, ha dichiarato Bassem Naim, membro dell’ufficio politico dei terroristi, in un’intervista all’Afp. Il gruppo islamista accusa Israele di voler “prolungare il controllo militare” sull’enclave, rifiutando ogni proposta che preveda una permanenza delle Forze di difesa su oltre il 40 per cento del territorio. Tel Aviv, da parte sua, starebbe lavorando a una revisione cartografica del proprio piano di disimpegno, ma denuncia “l’inflessibilità” di Hamas nei colloqui. Un’incertezza che rischia di far precipitare la situazione. Il capo di Stato maggiore israeliano, generale Eyal Zamir, ha avvertito che l’alternativa a un’intesa sarà un’ulteriore escalation: “Se non si raggiungerà presto un accordo sulla questione degli ostaggi l’esercito intensificherà ed espanderà la sua offensiva contro Hamas il più possibile”.

Aggiornato il 17 luglio 2025 alle ore 14:55