Nebbie a Teheran, i fumi della battaglia

“Fog of war” dicono gli inglesi. Ovvero, che cosa resta davvero sulla retina dei rapporti internazionali dopo un’azione lampo, come quella dei B-2 americani e delle loro superbombe di profondità per obliterare il nucleare iraniano, e dopo una guerra durata soli 12 giorni tra Israele e Iran? Quanto ancora occorrerà attendere per diradare le nebbie che non rendono interamente visibili i risultati effettivamente raggiunti dagli israelo-americani?

Solo il tempo darà risposte definitive su quanto l’Iran sia stato indebolito (di certo, moltissimo, se si guarda soltanto alla sua immagine pre-7 Ottobre 2023 di Stato sponsor del terrorismo internazionale), e su quali siano le sue reali intenzioni di acquisire o meno in futuro lo status di potenza nucleare, innescando così una prevedibile escalation al riarmo in tutta la regione, vedi Turchia e Arabia Saudita che rappresentano le più grandi e meglio armate roccaforti sunnite dell’area. Ora, occorre lasciar diradare i fumi della battaglia (“the fog of war”) al fine di capire se nell’immediato futuro sia possibile avviare una seria trattativa con l’Iran, per la ripresa delle ispezioni dell’Aiea e la rinuncia a quell’ideologica radicale di Teheran che mira alla cancellazione dello Stato di Israele, riconoscendone finalmente il suo diritto a esistere.

In assenza di tutto ciò, gli ayatollah useranno la tregua solo per riarmarsi, mentre al contrario servirebbe far capire bene all’Iran che, se continuasse a insistere sull’atomica, Israele colpirà ancora e non cederà alle pressioni Usa. Dato che, se i chierici iraniani vogliono distruggere a priori e senza esitazione l’entità sionista, quest’ultima in compenso ha tutto il diritto di voler sopravvivere, e di annullare con ogni mezzo legittimo la minaccia esistenziale iraniana nei suoi confronti.

Ora, storicamente non c’è dubbio che l’Iran, devastato da otto anni di guerra con l’Iraq e dalla conseguente perdita di molte centinaia di migliaia di combattenti tra le sue fila, abbia pensato bene di proteggersi dai demoni che lo perseguitano (il Grande Satana occidentale e il suo piccolo rappresentante mediorientale, connaturato con lo Stato di Israele), spostando i conflitti molto oltre i suoi confini. Per questo, dalla fine degli anni 80, gli ayatollah hanno saccheggiato le risorse nazionali del loro popolo, svenandosi economicamente e politicamente, per accerchiare l’odiatissimo nemico sionista con un “Anello di fuoco” costituito da milizie proxy, armate come tanti eserciti, da schierare sui tre fronti e confini di Gaza, Siria e Libano. Con il risultato che si è visto nella Guerra dei 12 giorni (che, però, non è di certo finita qui!), in cui l’Iran si è dimostrata facile preda dal cielo dell’aviazione israeliana, assistendo impotente alla propria disfatta, e ancora prima a quella dei suoi fedelissimi alleati.

Nel caso della neutralizzazione del nucleare di Teheran e dei suoi proxy, è stata evidente la netta superiorità tecnologica dell’Occidente nel suo complesso, unitamente al coraggio da leone e all’assoluta preparazione bellica dimostrati da Israele, che non ha esitato ad attaccare Teheran prima che l’uranio arricchito armasse i suoi missili balistici, per colpire al cuore l’entità sionista. Anche se, per solidissime ragioni, come si è già fatto notare in precedenza (cfr. “Terrorizzare Teheran”), l’uso effettivo di testate nucleari sia sul territorio iraniano che su quello israeliano è frutto di pura gestualità e affabulazione, anziché promessa reale di un passaggio all’atto concreto. Al punto in cui siamo, però, lo scontro Iran-Occidente va osservato da due punti di vista: uno esterno, e l’altro interno al regime fondamentalista sciita.

Sul primo aspetto, resta politicamente sospesa, da parte americana, la risposta alla seguente domanda fondamentale: il “lavoro” (della guerra preventiva, terminato in una sola notte con l’attacco una tantum ai siti nucleari iraniani) si può davvero ritenere concluso?

Riconoscendo, in merito, a Donald Trump di aver messo drasticamente fine, con il suo straordinario “strike” aereo, a decenni di illusioni, ingenuità, falsi passi diplomatici e a un ventaglio di sanzioni che si sono rivelate (come quelle contro Vladimir Putin) sostanzialmente inefficaci, per deteriorare l’apparato bellico e ricondurre alla ragione la politica estera radicale di Teheran.

Anche perché nessuno può davvero pensare di bombardare in massa la materia grigia di migliaia di esperti e tecnici nucleari iraniani, per cui il know-how per fare la bomba rimane lì, tutto intero, davanti a noi. E questo dilemma è indissolubilmente legato all’altro corno del problema: quello della stabilità interna. Se il regime fondamentalista reggesse l’urto del suo recente fallimento, c’è da scommettere che, per riscattarsi dall’umiliazione subita da parte del duo Usa-Israele, gli ayatollah punteranno tutto sull’acquisizione definitiva dell’arma nucleare.

A rafforzare i timori in tal senso, sono le rare voci e testimonianze che filtrano dalla società iraniana, sempre più compressa e resa silente (soprattutto sulla Rete) da una censura e da una repressione del dissenso che non hanno paragoni con gli anni precedenti. Questo perché, per quel che è dato di capire, la realtà interna dell’Iran è caratterizzata da una campagna silenziosa di terrore, quotidiano e sistematico, a partire dal cessate-il-fuoco del 24 giugno, imposto dal diktat di King Trump. Da allora a oggi migliaia di persone sono state arrestate senza processo, con le accuse più disparate di intelligenza con il nemico.

E tra di loro, incarcerati ingiustamente, si ritrovano esponenti della media-alta borghesia intellettuale, delle minoranze etnico-religiose e persino genitori e parenti dei giovani che sono stati selvaggiamente picchiati, per aver partecipato in passato a manifestazioni di protesta.

In merito, persino il New York Times si domanda “come mai la comunità internazionale resti tanto silenziosa”, rendendosi così complice di una repressione di massa mai vista prima da parte del regime iraniano. Questione da rigirare soprattutto alla sinistra progressista dello schieramento democrat mondiale (Pd compreso), che insiste a ignorare il tremendo messaggio inviato dagli ayatollah al loro popolo completamente indifeso: “Il dissenso lo si paga con la morte”.

E, ovviamente, un Parlamento iraniano totalmente asservito si è mosso rapidamente a sostegno del regime, varando norme liberticide contro coloro che divulghino in rete informazioni ritenute sensibili: da oggi, chiunque se ne renda responsabile può essere condannato all’ergastolo o alla pena di morte, con l’accusa di terrorismo e di tradimento.

Così, come accadeva ai tempi del terrore e delle purghe staliniani, qualunque cittadino può essere in qualsiasi momento sequestrato e imprigionato, proprio al fine di instaurare un clima di terrore permanente presso la popolazione civile.

Allora, cari cuori bianchi d’Europa, capirete mai che il lavoro da fare per eliminare il peggiore regime fondamentalista del Medio Oriente e del mondo è appena iniziato, che Voi lo vogliate o meno?

Aggiornato il 12 luglio 2025 alle ore 10:09