
Le promesse di scarcerazione sono andate a farsi benedire. Il 65 per cento dei prigionieri politici attualmente detenuti a Cuba sono manifestanti pacifici arrestati durante le storiche proteste dell’11 luglio 2021, note come 11J. È quanto emerge dal più recente rapporto di Prisoners Defenders, che evidenzia come la repressione e le torture continuino ad aggravarsi, consolidando il numero dei prigionieri politici al massimo storico: 1.158 detenuti. Di questi, ben 752 sono stati incarcerati per aver preso parte alle manifestazioni di quattro anni fa, in cui migliaia di cittadini cubani, esasperati dalla crisi economica e dalla mancanza di diritti fondamentali, sfidarono apertamente il regime nelle strade di oltre 50 città.
Il rapporto, pubblicato in collaborazione con Consorcio Justicia e il Centro per una Cuba libera, fornisce una radiografia dettagliata della condizione di questi detenuti, illustrando anche il fallimento delle recenti promesse legate all’accordo con il Vaticano. Una “frode del regime”, come definita dagli autori del rapporto, non solo perché nessuno degli incarcerati è stato effettivamente liberato, ma perché “sono sottoposti a un abietto regime carcerario-domiciliare”, mentre “il 91 per cento di questi prigionieri politici, molti già da più di un anno, aveva diritto per legge a un regime aperto, alla liberazione condizionale o alla scarcerazione immediata”. Tra i casi più gravi si segnala quello di José Daniel Ferrer, attivista e leader umanitario, che “viene torturato senza pietà e si teme per la sua vita”. Tant’è che il segretario di Stato americano Marco Rubio ha chiesto una “prova di vita” di Ferrer.
A giugno, nonostante le promesse di apertura, la lista ha registrato otto nuovi prigionieri politici, confermando la cifra totale di 1.158 detenuti per motivi politici e di coscienza. La repressione giudiziaria, come evidenziato da Prisoners Defenders, avviene “senza alcuna supervisione giudiziaria, giusto processo o difesa efficace”, violando in modo sistematico il diritto internazionale. Nel solo anno che va dal 1 luglio 2024 al 30 giugno 2025, si contano 119 nuovi prigionieri politici, pari a una media di 10 arresti al mese. In totale, dal 1 luglio 2021 al 30 giugno 2025, le autorità cubane hanno registrato 1.844 prigionieri politici, un dato che fotografa la profondità e la continuità della repressione. Il rapporto ricorda anche come l’11 luglio 2021 sia stato il giorno della più grande protesta antigovernativa a Cuba dal 1959.
“Centinaia di migliaia di cubani sono scesi coraggiosamente in piazza in più di 50 città del Paese per la più imponente manifestazione antigovernativa dal 1959”. La protesta nasceva in risposta alla drammatica situazione economica e sociale, aggravata da una grave crisi energetica, dalla carenza di cibo e medicine, e dal progressivo deterioramento dei servizi di base. “La situazione all’11 luglio 2021 non solo non è migliorata, ma è sostanzialmente peggiorata”, si legge nel documento. La violenta repressione scatenata in quei giorni ha però generato un clima di terrore che ancora oggi paralizza la società, impedendo nuove mobilitazioni di massa. Nonostante ciò, sporadici episodi di protesta continuano a manifestarsi, seppure in forma più contenuta.
Secondo la denuncia contenuta nella lettera di accusa inviata a Cuba dal Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani il 3 aprile 2024, “nei giorni successivi (alle manifestazioni), le forze del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, la polizia e gli agenti del Ministero degli Interni e del Ministero delle Forze armate hanno interrotto violentemente le manifestazioni e arrestato tra le 5.000 e le 8.000 persone”. Questi arrestati furono trattenuti in condizioni arbitrarie per periodi che andavano da pochi giorni fino a oltre sei mesi. “La maggior parte dei detenuti è comparsa davanti a un giudice solo molti giorni, settimane o mesi dopo la loro detenzione iniziale in relazione alle manifestazioni. Prima di essere portati davanti a un’autorità giudiziaria, la sorte e il luogo di detenzione dei detenuti sono rimasti sconosciuti, il che può aver portato ad atti di sparizione forzata”, hanno rilevato i sei mandati delle Nazioni unite nella loro lettera. In aggiunta, il 24 giugno 2024, il Gruppo di lavoro delle Nazioni unite sulle detenzioni arbitrarie (Wgad) ha emesso una condanna definita “senza precedenti” nei confronti delle detenzioni legate all’11J (il Wgad ha chiesto la liberazione immediata e il risarcimento per 17 manifestanti condannati, emettendo una risoluzione che nella storia recente ha avuto precedenti solo in Turchia e in Nicaragua. Il Gruppo ha inoltre denunciato apertamente lo “status di rappresaglia dei manifestanti dell’11J per discriminazione di opinione”, riconoscendo che “i manifestanti stavano usando la loro libertà di espressione e di riunione pacifica”.
Le cifre, i nomi e le testimonianze raccolte confermano una verità drammatica: a distanza di quattro anni dall’11J, la repressione a Cuba non solo non si è attenuata, ma si è radicata come sistema, alimentata da un controllo capillare e da una strategia sistematica di terrore. Il prezzo pagato da chi ha osato alzare la voce è altissimo: detenzioni arbitrarie, torture, condanne sproporzionate e un futuro negato a chi aveva scelto di chiedere solo diritti e dignità.
Aggiornato il 12 luglio 2025 alle ore 11:45