Il ritorno del Novecento

L’America, la Russia e l’Europa travicella

Nella “guerra dei dodici giorni” del giugno 2025, l’Iran ha lanciato su Israele 552 missili. Israele ne ha intercettati e distrutti 520 prima che causassero danni a uomini e cose. I rimanenti hanno colpito edifici comuni e fatto un numero di vittime civili. Per mera ipotesi, immaginiamo che la dittatura teocratica degli ayatollah lanci sull’Italia, Dio non voglia, un decimo di quei missili. Non uno verrebbe intercettato prima di distruggere il Cenacolo di Leonardo, la Torre di Pisa, il David di Michelangelo, la Basilica di San Giovanni a Roma, il Museo nazionale di Napoli, i Bronzi di Riace a Reggio, il Tempio della Concordia in Agrigento, e di uccidere centinaia, forse migliaia di concittadini. Ecco, di questa ipotesi avrebbero dovuto discutere i governanti europei negli ultimi tempi, invece di accapigliarsi coi sorrisi in faccia su quanto spendere a riarmarsi per compiacere l’ingombrante d’Oltreoceano, il quale, mentre tergiversa sulla sua garanzia militare a cui peraltro è (sarebbe) obbligato, pretende dagli alleati garanzie economiche a suo favore.

I problemi che affannano la Nato riguardano tutti gli alleati fuorché gli Stati Uniti, che agitano la questione dei contributi finanziari per trarre profitto dai partner piuttosto che per rafforzarli nell’alleanza e con l’alleanza, circa la quale non esiste la certezza che l’imponente aumento delle spese, preteso dagli Usa, comporti l’altrettale aumento della potenza strategica della Nato, a beneficio della sicurezza comune. Il punto cruciale della questione consiste nel fatto che gli Usa non considerano, non del tutto, la sicurezza degli europei funzionale alla sicurezza degli americani. I governanti europei cinguettanti sulle chiome auree di Donald Trump non possono non sapere che la solidità e l’affidabilità della Nato sono state sempre basate sull’interesse vitale di entrambe le sponde dell’Atlantico alla sicurezza reciproca. Finché gli Usa hanno creduto intimamente nel dogma basilare dell’Alleanza, non hanno fatto questione di soldi. Se adesso ne chiedono, e tanti, non è per l’equità dei carichi finanziari tra alleati, ma perché ritengono il loro contributo economico, se non sprecato, sproporzionato alle necessità della loro difesa e alla salvaguardia dei loro interessi nazionali.

Per l’America di Trump, il gioco strategico non vale più la candela atlantica. Detto altrimenti, il patto della Nato non è più un contratto a prestazioni corrispettive nel quale le obbligazioni assunte dalle parti sono legate tra loro da un nesso di reciprocità. Quando Trump dice, insinua, fa capire che l’articolo 5 (tutti per uno, uno per tutti) è soggetto a varie interpretazioni, non compie un esercizio esegetico ma svela le sue reali intenzioni e formula una minaccia esiziale per gli altri. L’aver sottovalutato o addirittura finto d’ignorare che non sarà l’aumento del 5 per cento del Pil a ridarci la Nato che fu e trattenervi lo spirito dell’America che la cementò, ha prodotto effetti dirompenti extra Alleanza, riguardanti strettamente soltanto noi europei, anche a prescindere dall’Ue. Stando alle apparenze e ai comunicati, sembra che alla Nato abbia arriso un nuovo inizio. Ma è così? Non pare proprio roseo il giorno che sorge ma piuttosto grigio sotto la cappa delle riserve mentali aleggianti sul vertice dell’Alleanza, che avrebbe sancito la “pax euro-atlantica” nientemeno! Il concomitante dispiegarsi della forza aggressiva della Russia e delle scompiglianti iniziative degli Usa ha gettato l’Europa in uno stato confusionale, sia come unione sia come nazioni, né sviluppando la coesione comunitaria, né rafforzando i legami tra Stati.

Stando al territorio europeo e all’Unione europea, è più di un’impressione che le ultime vicende geopolitiche, pur prescindendo dalle cause e dalle colpe, abbiano innescato forze centrifughe, che credevamo sopite dall’evoluzione storica della Ue, piuttosto che le forze centripete generalmente indotte nelle nazioni dalle minacce esterne. Mentre l’Unione europea rimane sospesa sul crinale della confederazione, incapace di perfezionarsi in uno Stato federale, indipendente e sovrano, i singoli Stati sembrano perseguire politiche autonome tanto velleitarie quanto venate da improbabili e sfumati nazionalismi. Questo indirizzo, dove più dove meno, è stato incentivato dalle mirabolanti aspettative di spesa per gli armamenti, che hanno fatto drizzare le orecchie agli autarchici di tutte le tendenze politiche. Pare rivivere il metternichiano “Concerto europeo” ma all’incontrario: anziché trattare congiuntamente le questioni politico-diplomatiche di comune interesse attinenti all’Europa, le nazioni comunitarie vanno, scoordinate, un po’ per conto loro nel Vecchio Continente, mentre per gli interessi extra-europei ognuna fa addirittura per sé sola.

Prima di armarsi a casaccio, vien da dire, le nazioni europee che hanno percepito fino in fondo la minaccia di Vladimir Putin e il distacco di Trump devono decidere ad horas il comando comune delle forze integrate, Nato o non Nato, Ue o non Ue, e subito dopo affidare ad esso la protezione collettiva. Chi decide la risposta all’aggressione non esiste. Dunque, chi armiamo e perché? Stiamo mettendo stupidamente il carro davanti ai buoi. Fosse almeno un carro stracarico di fieno, cioè soldi, invece neppure quelli. Tutto appare una gigantesca, ingannevole, circonvenzione reciproca, mentre Hannibal ad portas dà prove di volerle varcare, questa volta. Certamente sarebbe oltremodo esagerato intravedere in tutto ciò un ritorno delle nazioni e del nazionalismo che insanguinò l’Europa nella prima metà del Novecento. Nondimeno l’Ue già stenta di suo a darsi e a darci un Governo, un Parlamento, una politica. Altre divaricazioni tra le nazioni potrebbero essere determinanti. Distruttive addirittura. Il quieto vivere dei popoli europei è finito. L’Ue deve prenderne atto al più presto se, rinunciando a sopravvivere nell’irrilevanza, decide di vivere e prosperare alla pari delle superpotenze, avendone le forze tuttavia disperse ma non purtroppo la volontà comune. Il sanguinario Putin, che per motivi abietti sta martoriando l’Ucraina da tre anni, costituisce un pericolo mortale per gli europei. Alle anime belle che se ne sentono al riparo argomentando che il despota impera già sulla più estesa nazione del mondo, bisogna rispondere che l’aggressione all’Ucraina comprova appunto che tutta la sua terra ancora non gli basta, perché la sua volontà di dominio permane inesausta. Inoltre, egli non sbaglia a supporre, avendone ricevuti segnali per facta concludentia, che Trump possa far baratteria dell’Ucraina e di Paesi Nato ritenuti non più strategici per l’America.

Aggiornato il 01 luglio 2025 alle ore 11:38