
“Auspico che il mio popolo diventi sempre più unito e gli iraniani si saldino nella loro protesta. Non è ancora così. Ma in questo momento, in diverse città e a Teheran, stanno crescendo gli slogan contro il regime, che chiedono la fine della Repubblica islamica”. Le parole di Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, risuonano forti ora più che mai. L’avvocata iraniana, costretta all’esilio a Londra dal 2009, analizza per La Repubblica e La Stampa un Paese sull’orlo di un possibile punto di rottura, ma che ancora non ha trovato la sua forza collettiva definitiva. Secondo l’autrice, la crisi della Repubblica islamica è evidente: l’eliminazione da parte di Israele di figure chiave del regime, a partire da esponenti del ministero dell’Intelligence e dai vertici pasdaran, ha inciso sulla struttura del potere. Ma non può essere la sola leva del cambiamento. “Aver ucciso numerosi capi della Repubblica islamica contribuisce sicuramente a un indebolimento del regime, così come aver decapitato le forze di repressione che lo tengono in vita, vedi il Ministero dell’Intelligence, vitale per il governo. Ma non basta – rimarca – Perché auspico che quest’ultimo cada per mezzo degli iraniani e non attraverso la guerra di potenze straniere”.
Il ruolo di Israele in questa fase resta un nodo cruciale. Ebadi riflette sul cambio di atteggiamento dell’opinione pubblica iraniana nei confronti delle azioni militari: prima il silenzio, ora la rabbia. “Non so fino a dove arriverà Benjamin Netanyahu, ma dovrebbe chiedersi come mai dopo il primo blitz, quello che ha preso di mira i pasdaran, gli iraniani, pur trovandosi sotto attacco, non protestavano, mentre oggi, dopo i bombardamenti sulle città, alzano la voce. Questa guerra non è la soluzione”, ha ragionato la premio Nobel. I raid israeliani, per quanto mirati, rischiano di indebolire il fronte interno anti-regime, spiega Ebadi, mettendo in discussione la legittimità della protesta popolare. Eppure, secondo la giurista, l’infiltrazione nei ranghi della Repubblica islamica da parte di agenti esterni sembra ormai penetrante. “Se Israele ha così tanti infiltrati in Iran da aver colpito i capi pasdaran con droni partiti dall’interno del Paese – prosegue – perché non mira chirurgicamente alla guida suprema, invisa al popolo? Perché attacca le infrastrutture e uccide i civili se può arrivare dove vuole?”.
Nel frattempo, il futuro dell’Iran sembra appeso alla capacità dei giovani di perseverare nella protesta, sostenuti dalla diaspora e dalla comunità internazionale. “Se i giovani iraniani saranno sostenuti nella propria lotta, il regime potrebbe presto crollare e l’Iran potrebbe essere guidato verso un referendum e la democrazia”, ha ammesso con forza Ebadi. Il nome di Reza Ciro Pahlavi II, figlio dell’ultimo Scià, è già stato evocato come figura possibile per una transizione. Ma Ebadi è chiara anche su questo punto. “Va bene, ma il sistema di governo in Iran deve essere deciso con un referendum libero. In cui il popolo potrà scegliere la Costituzione, tra monarchia o repubblica. Pahlavi non ha più diritti rispetto agli altri”, conclude. Una transizione che, per essere autentica, dovrà partire dal basso verso l’alto. Traiettoria inversa a quella dei missili.
Aggiornato il 16 giugno 2025 alle ore 14:44