
Una cosca legata da vincoli di destino tiene in scacco la Russia. Nessun altro punto di partenza riesce a spiegare le prospettive della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Non conta adesso concedere che il senno di poi lo condanna quanto prima la follia lo illuse. Non gli bastava tutto il potere sul territorio sconfinato della Russia, estesa quanto un continente, sospesa su Europa e Asia. Quanti, nel perorarne l’infame causa, la descrivono persino come minacciata dall’Occidente, non hanno mai considerato la geografia e sempre ignorato la storia. Il suolo russo è esteso 17.098.250 chilometri quadrati, sui quali vivono 145.440.501 russi. Gli Stati Uniti d’America sono estesi 9.831.510 chilometri quadrati, dove vivono 343.477.335 americani. Gli Usa occupano il Nord America. La Russia inizia nel Vecchio Continente e finisce nell’Oceano Pacifico. I confini marittimi e terrestri della Russia sono circa il doppio di quelli degli Stati Uniti. Il Pil annuo della Russia è 1.997 miliardi di dollari. Il Pil annuo degli Usa è 27.357 miliardi di dollari (Atlante geopolitico 2024, Treccani).
La Russia, gonfia di ricchezze minerarie, ha tuttavia un Pil nazionale inferiore all’Italia, che invece n’è quasi del tutto sprovvista. Nel 1991, con la fine del comunismo, la ricchezza della Russia finì nelle mani di pochi con l’artificio dei voucher rappresentativi dei beni collettivi. Rastrellati e accumulati truffaldinamente in poche mani di privilegiati della nomenclatura, i voucher conferirono agli oligarchi la proprietà d’immensi capitali. La Russia postcomunista divenne in un decennio la patria del più sfrenato capitalismo di rapina, come non si era mai visto nell’intero Occidente liberale. Gli oligarchi cleptocrati presero il potere, governarono e governano, capeggiati da un oscuro ufficiale dei servizi segreti, subdolo omicida, che li tiene sotto il tacco con il terrore e uniti con la spartizione del bottino sottratto al popolo russo depredato e oppresso.
La potenza atomica ereditata dal regime sovietico viene accuratamente coltivata e mantenuta, oltreché potenziata con l’armamento convenzionale, gonfiato dall’economia di guerra instaurata dopo l’invasione dell’Ucraina. Nel 2024 la Russia spendeva per la difesa il 5,9 per cento del Pil. Le forze armate in servizio attivo erano 1.320.000; i riservisti, 2 milioni; le forze paramilitari, 250mila. I numeri del 2025 sono cresciuti moltissimo, ma coperti dal segreto militare. Per restare nel paragone con gli americani, la spesa militare Usa è il 3,3 per cento del Pil; le forze armate in servizio, 1.328.000; i riservisti, 799.500 (Atlante geopolitico 2024, Treccani).
Imploso il regime comunista nella miseria e nel disonore, la Russia non stette a leccarsi le ferite, ma intraprese guerre contro alcune delle ex repubbliche sovietiche: Georgia, Cecenia, Kazakistan, Abkhazia, Tagikistan, Ucraina. Dovevano, i cleptocrati guidati dal loro campione, restaurare la “gloria” perduta dalla Russia con la dissoluzione dell’impero sovietico. Putin accusò i popoli ribelli, o renitenti al suo giogo, di essere nemici della Russia e “terroristi”. Putin accampò di essere non solo legittimato ma obbligato a intervenire, sottomettere, sterminare gli insorti, talvolta intere nazionalità. Fu in occasione della seconda guerra cecena (1999) che Putin pronunciò la frase agghiacciante che ne ha contraddistinto la condotta, allora e dopo: “Noi perseguiteremo dappertutto i terroristi, e quando li troveremo, mi perdoni l’espressione, li butteremo dritti nella tazza del cesso”.
L’accusa di terrorismo è stata da ultimo rivolta a Volodymyr Zelensky, che ha inferto a Putin un durissimo colpo militare. Gli ha distrutto una parte della flotta di bombardieri nucleari strategici. Putin ha confidato a Donald Trump, quasi fosse un sodale, che lo smacco non resterà impunito. Il contrattacco dell’Ucraina e la ritorsione della Russia sono un’escalation foriera di conseguenze belliche viepiù devastanti in una guerra che di per sé costituisce già un insuccesso umiliante per Putin e una clamorosa menomazione del suo amor proprio e del prestigio della Russia: il contrario dell’ambizione e dell’intenzione con le quali aveva baldanzosamente attaccato l’Ucraina con una proditoria aggressione.
Nelle condizioni geostrategiche determinate dalla “volontà di potenza” della Russia, aspettarsene una tregua o addirittura la pace significa, appunto, sottovalutare (ignorare?) la geografia e la storia. Alla luce dei fatti, è comprensibile il perché alla Russia, cioè a Putin e alla sua cricca, non bastino il suo sterminato territorio spopolato e le sue enormi ricchezze naturali; è comprensibile il perché la Russia mantenga un apparato militare, soprattutto atomico, spropositato rispetto alla sua struttura economica e produttiva; è comprensibile che essa pretenda di conquistare e asservire con la forza militare, incurante della distruzione di persone e cose, una nazione indipendente, asseritamente suo patrimonio geografico, storico, spirituale. Al contrario delle precedenti avventure militari, con l’Ucraina il boccone è rimasto in gola a Putin e rischia di strozzarlo. Alla luce dei fatti, Putin non sarà fermato dagli appelli alla pace, alla giustizia, al diritto, ma dalla forza della resistenza ucraina, supportata dalle nazioni del mondo libero, europee innanzitutto. Winston Churchill, lo statista che li ha meglio conosciuti, nel celebre discorso del 1946 sulla cortina di ferro, affermò: “Da quel che ho visto durante la guerra, non vi è nulla che i nostri amici e alleati russi ammirino più della forza, e di nulla hanno minor rispetto che della debolezza, soprattutto quella militare”. Il giudizio di Churchill vale a maggior ragione per la Russia di Putin. Ed è definitivo, alla luce dei fatti.
La situazione militare è destinata a diventare viepiù drammatica, se possibile, per il fatto che alla disponibilità a trattare espressa da Zelensky, la vittima, non collima alcuna volontà di Putin, il carnefice, di corrispondervi in modo realistico. Alla luce dei fatti, è comprensibile che Putin, nonostante sia un autocrate, paradossalmente disponga in assoluto del potere di guerra ma non del potere di pace, perché egli è legato alla cricca che ne condivide le sorti in termini di vita o di morte. Il legame esistenziale, di sopravvivenza anche fisica, che lo ingabbia nella sua cerchia e lo stringe alla sua cosca, impedisce a Putin di spingersi oltre il punto al di là del quale la sua decisione possa essergli anche soltanto rinfacciata o sembrare una resa. Ogni decisione, che possa configurarsi come concessione, può costargli l’estromissione dal potere, la vita, l’esilio. Alla luce dei fatti, Putin è piuttosto un prigioniero che un condottiero.
Aggiornato il 06 giugno 2025 alle ore 15:42