
Non ci sarà una pace immediata. La visione di Vladimir Putin sugli sviluppi della guerra in Ucraina adesso è ancora più chiara. Il capo del Cremlino, nel corso di un colloquio telefonico con Donald Trump, primo a riferirne pubblicamente. Il presidente russo ha ribadito la propria linea intransigente: nessun cessate il fuoco, nessun vertice con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – definito apertamente un “terrorista” – e nessuna apertura agli Stati occidentali, accusati di aver favorito l’attacco di Kiev in territorio russo. La conversazione tra i due leader, avvenuta a pochi giorni dal fallimento dei colloqui russo-ucraini a Istanbul e dopo il blitz ucraino contro basi aeree in Siberia, ha rappresentato il tentativo del tycoon di riaprire uno spiraglio diplomatico. Ma l’esito, come ammesso dallo stesso Trump, non lascia presagire progressi immediati. Certo, “è stata una buona conversazione, ma non una che porterà alla pace”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, precisando che Putin ha reagito “con fermezza” agli attacchi contro i bombardieri strategici russi, considerati parte integrante della dottrina di deterrenza nucleare di Mosca. Tutto questo mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, non ha risposto alla domanda se Vladimir Putin abbia in programma una visita a Teheran, affermando comunque che il presidente è pronto, “se necessario”, a partecipare ai colloqui tra l’Iran e gli Usa per risolvere la questione nucleare.
Il Cremlino ha poi confermato che Washington non era a conoscenza dei piani militari ucraini, sottolineando tuttavia come la rassicurazione americana non sia sufficiente a riattivare il dialogo. Eppure, secondo Mosca, il colloquio tra i due leader è stato “positivo e produttivo”. Sul fronte diplomatico, Putin ha avuto nelle stesse ore un secondo colloquio di rilievo: quello con papa Leone XIV. Da parte vaticana è giunto un appello “a favorire un gesto di pace”, sottolineando l’urgenza di un dialogo diretto e la ricerca di soluzioni per una “crisi che rischia di ulteriormente degenerare”. Tuttavia, la posizione di Mosca è rimasta immutata. Secondo il Cremlino, accettare una tregua equivarrebbe a offrire a Kiev l’opportunità di rifornirsi di armi occidentali, proseguire nella mobilitazione forzata e pianificare nuove azioni “terroristiche”, come definite le operazioni condotte nelle regioni russe di Bryansk e Kursk. “Negoziare con Zelensky”, ha affermato Putin, “significherebbe legittimare un’organizzazione terroristica”. A Kiev, intanto, si analizza il memorandum inviato dalla controparte. Zelensky ha bollato le condizioni poste da Mosca come “ultimatum”, accusandola di “usare i negoziati per guadagnare tempo ed evitare nuove sanzioni”. Il presidente ucraino ha ribadito la necessità di una tregua come prerequisito essenziale per qualsiasi confronto diretto tra i leader, una linea che si scontra frontalmente con la postura attuale del Cremlino.
Mentre l’Unione europea valuta misure economiche coordinate con Washington, prende corpo l’ipotesi di un incremento drastico dei dazi – fino al 500 per cento – nei confronti dei Paesi che continuano ad acquistare gas e petrolio dalla Russia. Un ulteriore segnale di irrigidimento dell’Occidente, nel quadro di una crisi che continua ad allontanarsi da ogni prospettiva di soluzione negoziata.
STATI UNITI: DIVIETO D’ACCESSO
Un nuovo provvedimento, 19 Paesi, e gli Stati Uniti off limits. Oltre al dossier ucraino, la Casa Bianca ha reso pubblica la decisione, firmata dal presidente Trump, che introduce restrizioni all’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di molti Paesi, tra cui Cuba e Venezuela. Il documento, reso pubblico nella giornata di ieri, stabilisce un blocco totale per alcuni Stati e limitazioni parziali per altri, sulla base della “mancanza di cooperazione in materia di sicurezza e immigrazione”. Il divieto totale si applica ai cittadini di: Afghanistan, Birmania, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Misure parziali, con ingressi limitati o condizionati, colpiscono invece: Cuba, Venezuela, Burundi, Laos, Sierra Leone, Togo e Turkmenistan.
Nella documentazione ufficiale, Cuba viene definita “sponsor del terrorismo” e accusata di ostacolare la cooperazione con le autorità statunitensi, nonché di rifiutarsi di riammettere i cittadini espulsi dagli Stati Uniti. Per il Venezuela, si denuncia l’assenza di un’autorità affidabile per l’emissione di passaporti e documenti civili, oltre alla mancanza di adeguate misure di verifica e controllo.
Aggiornato il 05 giugno 2025 alle ore 14:44