
Lo scorso 29 aprile, la Spagna ha subito un massiccio blackout elettrico. Meno di un mese dopo, lo scorso 20 maggio, si è verificato un secondo blackout, stavolta digitale, apparentemente causato da un aggiornamento della rete della compagnia locale Telefónica.
La vicinanza temporale di due blackout così gravi ha sollevato inquietanti interrogativi, non solo per gli spagnoli che ora giustamente evidenziano la fragilità delle proprie infrastrutture, ma per tutti i popoli europei.
Molti analisti hanno evidenziato, infatti, come la crescente dipendenza della Spagna dall’energia solare ed eolica (circa il 70 per cento dell’energia totale) abbia reso la rete elettrica più fragile di fronte a crisi improvvise. L’obiettivo di ridurre le emissioni fino al “net zero” e la rapida transizione verso le fonti rinnovabili hanno esposto il sistema elettrico a rischi strutturali, soprattutto in mancanza di riserve energetiche adeguate o di efficienti sistemi di accumulo.
Le energie rinnovabili, infatti, producono energia in modo molto variabile, dal momento che dipendono da elementi naturali come la luce solare e il vento. Inoltre, a differenza delle centrali tradizionali, che dipendono da gas o nucleare, le rinnovabili non generano inerzia nel sistema elettrico, la quale aiuta a mantenere stabile la frequenza della rete anche quando si verifica un problema.
Il blackout spagnolo ha mostrato su “scala ridotta” (ammesso che possiamo considerarla tale) ciò che potrebbe verosimilmente accadere se l’intera Unione europea dovesse imporre politiche energetiche green a tutti i suoi Stati membri. Le conseguenze sarebbero devastanti, causando di fatto una crisi senza precedenti.
Treni ad alta velocità, metropolitane, semafori e sistemi di controllo del traffico cesserebbero di funzionare, causando il caos sulle strade e nei trasporti pubblici. Le reti telefoniche e Internet crollerebbero, lasciando milioni di persone senza possibilità di comunicare o di chiamare i numeri di emergenza. Ospedali, industrie, abitazioni e infrastrutture critiche rimarrebbero senza energia, mettendo a rischio la vita di molte persone. Supermercati, frigoriferi e centri di distribuzione smetterebbero di funzionare, causando il deterioramento di cibo e medicinali in pochissimo tempo. La popolazione finirebbe sull’orlo del delirio e, verosimilmente, si darebbe alla violenza. Senza sistemi di allarme e videosorveglianza, aumenterebbero furti e atti criminali, con forze dell’ordine incapaci di gestire la situazione. Le ripercussioni economiche e sociali a lungo termine sarebbero incalcolabili.
Visto ciò che è accaduto, quanto qui prospettato non è semplicemente uno scenario da film catastrofista hollywoodiano. E come se non bastasse, secondo un’inchiesta pubblicata dal Daily Mail, esiste un rischio significativo che le aziende cinesi produttrici di pannelli fotovoltaici destinati all’esportazione in Occidente abbiano integrato, su indicazione del governo, dei “kill switch” all’interno degli inverter dei pannelli solari. Questi dispositivi sono meccanismi nascosti, non sempre presenti nella documentazione tecnica, capaci di disattivare da remoto il funzionamento degli impianti fotovoltaici.
Essi potrebbero, quindi, essere attivati da Pechino in caso di escalation militare o geopolitica. In tal caso, le conseguenze sarebbero analoghe a quelle descritte sopra, ma su dimensioni ancora maggiori. Si consideri che, ad oggi, la Cina produce oltre l’80 per cento dei pannelli solari installati nel mondo e controlla quasi tutta la filiera produttiva mondiale.
Alla luce di tutto questo, la classe politica europea ‒ e in modo particolare quella italiana ‒ è chiamata a un serio e prudente esame. La corsa ideologica verso la transizione energetica forzata, pur mossa da intenzioni apparentemente nobili, rischia di compromettere la stabilità delle nostre società, le sicurezze nazionali e la libertà economica di cittadini e aziende.
Urge riconsiderare l’attuale approccio, abbandonando le imposizioni centralistiche e aprendo invece alla promozione di un panorama energetico diversificato, che comprenda anche fonti tradizionali affidabili e soluzioni tecnologicamente mature.
Aggiornato il 29 maggio 2025 alle ore 10:29