Trump: governo sudafricano non protegge Afrikaner

Donald Trump ha chiesto spiegazioni. Giusto il tempo di rientrare nei ranghi dello scontro verbale con Volodymyr Zelensky che il tycoon ha di nuovo fatto parlare di se in diretta dallo Studio Ovale. Stavolta, The Donald avrebbe fatto tana al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, ricevuto a Washington in un incontro ufficiale trasformato rapidamente in un attacco frontale. Davanti ai giornalisti, il presidente degli Stati Uniti ha accusato il governo di Pretoria di non tutelare gli agricoltori bianchi, aggiungendo che quello contro gli afrikaner sarebbe un vero e proprio “genocidio” e pretendendo chiarimenti formali.

Nel pieno della riunione, Trump ha fatto oscurare le luci dello Studio Ovale per proiettare a sorpresa un video di quattro minuti, contenente immagini di manifestazioni con slogan come “Kill the Boer, the farmer” e una sequenza di croci bianche, che secondo il commander-in-chief simboleggiano gli agricoltori uccisi. Ramaphosa, visibilmente sorpreso e in evidente disagio, ha assistito in silenzio al filmato. Un imprenditore sudafricano presente nella delegazione ha provato a puntualizzare che le vittime della violenza rurale in Sudafrica non sono esclusivamente bianche. Trump ha però proseguito con le sue accuse, esibendo ritagli di stampa e articoli online a sostegno delle sue tesi. “È molto triste da vedere”, ha affermato il presidente statunitense, parlando di “intere famiglie di bianchi in fuga”.

Ramaphosa, che non si aspettava di certo l’inquisizione spagnola, ha cercato ripetutamente di interrompere il monologo del capo della Casa Bianca, invitando a ristabilire un tono più costruttivo nel dialogo. “Nelson Mandela – ha dichiarato – ci ha insegnato che, in caso di problemi, le persone devono sedersi attorno a un tavolo e parlarne”. All’interno della sala era presente anche Elon Musk, sudafricano bianco di nascita, principale consigliere informale di Trump e tra i più accesi critici dell’attuale governo di Pretoria. Proprio il patron di Tesla, secondo fonti vicine all’amministrazione Usa, avrebbe sostenuto l’accoglienza di 49 afrikaner la scorsa settimana negli Stati Uniti, beneficiari di un percorso agevolato verso la cittadinanza americana, con copertura economica garantita dai fondi pubblici. Una misura in evidente controtendenza rispetto alla stretta migratoria varata dalla Casa Bianca a inizio anno.

La frattura tra Washington e Pretoria, come spesso accade, affonda radici nella contrapposizione oriente-occidente del mondo. Trump guarda con ostilità crescente al Sudafrica anche per la denuncia presentata da Ramaphosa alla Corte internazionale di giustizia contro Israele per presunto genocidio a Gaza. Il capo di Stato sudafricano era arrivato negli Stati Uniti con l’intento di riaprire il dialogo commerciale e rafforzare i legami bilaterali – gli Usa rappresentano il secondo partner economico dopo la Cina – ma l’obiettivo si è scontrato con l’imprevedibilità della presidenza americana. Al termine dell’incontro, non è rimasto altro da dire a Ramaphosa oltre che “è andato molto bene”, visibilmente sorpreso dall’andamento del summit con l’inquilino della Casa Bianca. Il suo portavoce, in una nota secca, ha ribadito che il presidente sudafricano non avrebbe “seguito Trump nella pozzanghera” in cui tentava di trascinarlo.

Aggiornato il 22 maggio 2025 alle ore 14:55