
Non entravano aiuti da più di due mesi. Per la prima volta dal 2 marzo scorso, una carovana di aiuti umanitari ha varcato i valichi di confine ed è entrata nella Striscia di Gaza. Per l’esattezza, cinque camion delle Nazioni unite, carichi di generi alimentari e forniture per l’infanzia, hanno superato i controlli della Land crossings authority del Ministero della Difesa israeliano. Un evento definito possibile solo “dopo un accurato controllo di sicurezza”, come ha precisato Tel Aviv in una nota ufficiale. A motivare l’allentamento del blocco è stata la stessa leadership israeliana. Benjamin “Netanyahu ha annunciato di permettere l’ingresso di una quantità minima di cibo a Gaza per evitare l’acuirsi della già gravissima crisi alimentare che, parole sue, comprometterebbe l’operazione militare”. Secondo alcuni detrattori del premier ebraico – parlamentari ed europarlamentari – l’accesso degli aiuti a Gaza è necessario “per non perdere il sostegno degli Stati Uniti e dell’Occidente tutto al suo folle piano di conquista dell’intera Striscia di Gaza”. Parole durissime, firmate dai rappresentanti dell’Intergruppo per la pace tra Israele e Palestina, appena rientrati da una missione a Rafah organizzata da AOI, Arci e Assopace Palestina.
Parallelamente, secondo fonti del Washington Post citate da corrispondenti da Tel Aviv, anche la Casa Bianca avrebbe fatto sentire la propria voce. Gli Stati Uniti, si apprende, avrebbero inviato un messaggio a Israele tramite esponenti dell’entourage del presidente Donald Trump: “Gli uomini di Trump hanno mandato ad Israele questo messaggio: vi abbandoneremo se non ponete fine a questa guerra”, si apprende dalle fonti del quotidiano Usa. Una pressione crescente che arriva anche dall’Europa e dal G7. Ventidue Paesi tra cui Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Canada, Giappone e Australia, hanno chiesto nella giornata di ieri che Israele “riprenda immediatamente tutti gli aiuti alla Striscia di Gaza”. La richiesta – effettivamente accolta dallo Stato ebraico – è stata veicolata attraverso una dichiarazione diplomatica trasmessa dal Ministero degli Esteri tedesco, sottolinea che le Nazioni unite e alcune Ong “non possono sostenere” il nuovo modello di distribuzione ideato da Tel Aviv. Una gestione che, secondo i firmatari, “mette in pericolo i beneficiari e gli operatori umanitari, mina il ruolo e l’indipendenza delle Nazioni unite e dei nostri partner fidati e collega gli aiuti umanitari a obiettivi politici e militari”. L’appello è stato firmato anche da Bruxelles, per mano dell’alto rappresentante per la Politica Estera Kaja Kallas. Nel testo, i ministeri degli Esteri di Australia, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito, avvertono: la popolazione di Gaza “rischia di morire di fame” e “deve ricevere gli aiuti di cui ha disperatamente bisogno”.
Intanto, sul terreno, l’offensiva e il piano delle Forze di difesa israeliane continuano. Le forze armate hanno intensificato i bombardamenti nelle ultime 24 ore, causando almeno 38 morti in tre raid distinti: due nella parte centrale della Striscia e uno a Gaza City. A riferirlo è Al Jazeera, che cita fonti ospedaliere palestinesi. Secondo le stesse fonti, 15 persone avrebbero perso la vita in un attacco a una stazione di servizio vicino al campo profughi di Nuseirat, altre 12 a Deir al-Balah, dove sarebbero rimasti uccisi diversi membri della stessa famiglia. Ulteriori raid hanno colpito una scuola adibita a rifugio nella città di Gaza, con una dozzina di vittime. L’agenzia di stampa Sanad, vicina ai terroristi di Hamas, avrebbe confermato questi numeri. Se si sommano ai 91 decessi registrati ieri, il bilancio provvisorio delle ultime 48 ore si attesta a 129 morti.
Aggiornato il 20 maggio 2025 alle ore 15:29