
L’evoluzione della politica migratoria del Pakistan prevede di rimpatriare gli afghani che si sono rifugiati nel Paese anche prima dell’agosto 2021, quando gli Stati Uniti hanno lasciato in modo imbarazzante l’Afghanistan in mano ai Talebani. Dai primi di aprile oltre mezzo milione – ma il numero è difficilmente riscontrabile – di afghani presenti in Pakistan sono stati rimpatriati forzatamente; si prevede che il programma pakistano possa arrivare ad interessare almeno due milioni di afghani. Va considerato che i talebani, anche se si affacciano pomposamente verso la politica internazionale, grazie anche alla Russia, non accoglieranno favorevolmente tali rimpatriati in quanto prevalentemente discordi con l’attuale governo, e comunque certi che rappresenteranno una ulteriore zavorra sociale. Ma anche i rimpatriati sanno di dovere tornare in un contesto a loro ostile. L’Afghanistan è un Paese oscurantista, religiosamente misogino, economicamente fallito e vassallo di economie dedite allo sfruttamento, in particolare dell’oppio, piuttosto che alla crescita.
Ma come accade ovunque vi siano flussi migratori, l’ubicazione e spesso l’identità degli immigrati afghani in Pakistan è in parte sconosciuta o poco nota, anche se esistono afghani che sono discretamente integrati nel contesto socio-economico del Paese; ma proliferano anche vasti campi profughi abbandonati a se stessi. Comunque, Islamabad è impegnata in una aggressiva ricerca di queste persone. Questa azione, nelle ultime settimane ha anche assunto una veemenza tale che si è trasformata, da una individuazione degli afghani nel Paese, in una vera e propria caccia all’afghano. Le modalità operative delle forze di polizia in questa operazione stanno assumendo i connotati di una “retata”, in quanto bloccano oltre che gli afgani, tutti coloro che hanno “sembianze” afghane, traducendoli senza troppi accertamenti, in centri di raccolta per poi obbligarli a dirigersi oltre frontiera. Il Pakistan ha intensificato questa politica migratoria da ottobre 2023, iniziando la prima fase di una pianificazione di espulsione degli afghani, sia rifugiati che migranti, da quelli privi dei documenti necessari per stanziare nel Paese.
La presenza degli afghani in Pakistan è l’effetto di dinamiche migratorie verificatesi in vari momenti della storia dell’Afghanistan; i flussi umani si sono riscontrati sia a seguito di autorizzazioni regolari, sia in modalità clandestina. Hanno seguito delle ondate sistematiche come nel 1979 dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi in modo continuo, ma con numeri non rilevanti, infine l’emigrazione dopo il secondo avvento dei talebani, 2021, che ha portato ad una criticità del contesto socio politico Pakistano, inducendo il governo di Islamabad ad avviare un’azione di espulsione di massa dalle caratteristiche solenni. Così la politica migratoria pakistana da un momento all’altro ha trasformato anche i lavoratori afghani, da decenni presenti nel Paese e magari integrati, in stranieri.
Perché questa accelerazione della politica di espulsione dei migranti afghani? Intanto va ricordato che nel 2023 poco meno di un milione di afghani sono stati obbligati a rimpatriare nell’ambito di una programmazione di espulsione simile all’attuale. Tuttavia, in genere, si deve considerare il “fattore integrazione”. In alcuni contesti l’integrazione è accettabile soprattutto se c’è affinità culturale e religiosa. In altri ambiti, come quello Occidentale, l’inintegrabilità interculturale è una “regola” socio-culturale, al di là delle note utopie manifestate da parti politiche che in realtà auspicano, disconoscendo, di poter attingere al serbatoio dei voti dei migranti. Fattore assolutamente illusorio e privo di concretezza, in quanto una volta che potranno votare lo faranno, come accade ovunque in Occidente dove tali presupposti sussistono, per il proprio unico partito.
Nel caso Pakistan, nonostante affinità religioso-culturale, la motivazione è data dalla instabilità sociale che la presenza dei migranti afghani crea in alcune aree geografiche del Paese. Da aprile le autorità pakistane hanno comunicato che la campagna di deportazione di massa è motivata dai tre milioni di residenti afghani presenti nel Paese dei quali molti legati al terrorismo e al traffico di droga. In particolare Islamabad ha riscontrato una esplosione di violenza soprattutto nelle regioni di confine con l’Afghanistan.
Il 22 aprile il Ministero degli Interni pakistano ha ufficialmente comunicato che la procedura di rimpatrio sta procedendo velocemente. Similmente a quanto accade in Occidente, la campagna di espulsione gode di un ampio sostegno nel Paese. Nonostante le distanze socio-geografiche, le similitudini con l’Occidente sono evidenti. I media pakistani narrano che con l’immigrazione degli afghani gli affitti sono raddoppiati; molti afghani hanno chiesto e ottenuto lo status di rifugiati, poi si sono adoperati per “rubare il lavoro”, ma altri hanno affermato che gli afghani fanno i lavori che i pakistani non vogliono fare, come raccogliere la spazzatura, attività che gli autoctoni evitano ritenendola poco dignitosa.
Comunque, carovane di afghani stanno attraversando i due valichi che separano i due Paesi, con carri stracolmi e colorati dai contenitori di plastica; anticipano il rimpatrio per timore che possano ricadere in un rimpatrio organizzato che senza tanti complimenti, li caricherebbe in convogli diretti verso la destinazione. Per contro il Governo talebano, non riconosciuto da nessun Paese al mondo ma con il quale i traffici internazionali sono abbastanza fiorenti, sta esprimendo preoccupazione per queste espulsioni di massa, accusando il governo pakistano di usare i migranti per scopi politici. Ma che tipo di scopi politici? Individuare “scopi politici” è abbastanza intuitivo, la questione instabilità sociale è un fattore determinante, ma confinare con uno Stato non riconosciuto da nessun Paese al mondo e le dirette conseguenze, già basterebbe a rendere politico il rimpatrio degli afghani. Inoltre, va considerato che Donald Trump ha congelato i programmi di aiuti ai rifugiati afghani.
Da parte sua il governo talebano ha dichiarato che stanno organizzando delle città per i rifugiati, una nella provincia di Nangarhar, tuttavia per adesso è stata tracciata solo un area nel deserto sassoso. Il governo pakistano aveva stabilito il 30 aprile come data massima per l’ambasciata afghana di organizzare l’evacuazione di questi rifugiati prima di espellerli coattamente. Il 30 giugno Islamabad valuterà l’espulsione di quasi un milione e mezzo di afghani. Ignorando, come ormai è di prassi, le valutazioni dell’Unhcr, Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati.
Aggiornato il 05 maggio 2025 alle ore 10:09