
Cosa cerca Israele in Siria? La risposta è semplice: “mettersi in sicurezza”. A questo punto è chiaro che qualsiasi sistema per raggiungere questo “status” per i leader israeliani è legittimato. Attualmente Gerusalemme-Tel Aviv considera il Governo siriano che ha rovesciato Bashar al-Assad solo una banda di jihadisti di Idlib, nota roccaforte jihadista nel nord del Paese, che hanno occupato Damasco con la forza. Tuttavia il presidente di transizione siriano Aḥmad Ḥusayn al-Shara, che per ora ha abbandonato lessico e atteggiamenti islamisti e radicali, ha affermato che sotto la sua presidenza la Siria – quale Siria verrebbe da chiedersi visto lo scarso controllo del Paese – non combatterà Israele, ma anche che non permetterà che il territorio venga utilizzato da altre Nazioni per vari scopi, anche militari. Chiaramente il riferimento è per l’Iran, ex grande mallevatore del ex regime siriano, che ha utilizzato la Siria come base di supporto per gli Houthi yemeniti, Hezbollah libanesi, nonché per Hamas, ma anche per Israele. Infatti, un riferimento più puntuale al-Shara lo ha fatto riferendosi allo Stato ebraico e alla progressiva espansione oltre le alture del Golan già occupate da Israele, ma anche ai bombardamenti che Tel Aviv continua ad effettuare sulle basi militari siriane in fase di allestimento, come sulle rovine di quelle residue del regime deposto.
Da parte sua il discusso presidente israeliano Benjamin Netanyahu, già due mesi fa aveva affermato che avrebbe interdetto, sia all’organizzazione islamista Hts, Hayat Tahrir al-Sham, guidata da al-Shara, che al nuovo esercito siriano, di entrare nella zona a sud di Damasco. L’esercito israeliano dopo la deposizione di al-Assad, l’8 dicembre 2024, ha occupato il territorio siriano definito “zona cuscinetto”, demilitarizzato, al confine con il territorio siriano già occupato da Israele nel 1967 durante la Guerra dei 6 giorni (5-10 giugno 1967). Questo vasto altipiano domina sia Israele che Siria, e Damasco dista solo 60 chilometri. Quindi le “alture” hanno una posizione estremamente strategica. La situazione di questi territori fu poi ridefinita, con mediazione Onu, nel 1974 a seguito della guerra dello Yom Kippur (1973), che prevedeva che tra il territorio occupato da Israele nel 1967 e la Siria si creasse una area demilitarizzata ampia circa 400 chilometri quadrati, osservata e pattugliata dalla missione chiamata Forza di disimpegno degli osservatori delle Nazioni, Undof, al fine di evitare nuovi conflitti tra i confinanti. Comunque il controllo di Israele sulla zona cuscinetto avvenuta appena al-Assad è fuggito dal Paese, comprende anche la gestione della strategica diga di al-Wehda, situata al confine tra Siria e Giordania, sul fiume Yarmouk. Va considerato che circa un terzo delle risorse idriche siriane sono controllate da Israele.
Ricordo che l’importanza del Golan oltre che essere strategica è anche simbolica; infatti per i siriani filo Assad e non, l’altopiano del Golan ha anche un significato nazionalista. Tanto è che al-Shara, da jihadista Abu Mohammad al Jolani, capo del gruppo armato Hts, ha assunto questo nome da miliziano jihadista proprio in riferimento al Golan, che è il luogo di antica origine della sua famiglia; al Jolani si può scrivere anche al Golani.
Ma Israele quali altri programmi ha verso la Siria? È noto che il colpo di Stato ordito dagli islamisti Hts è stato favorito sotto molti punti di vista, anche militari e strategici, dalla Turchia del presidente autocrate Recep Tayyip Erdoğan; e lo Stato israeliano ha come obiettivo anche il contrasto all’influenza di Ankara su Damasco. Quindi con i bombardamenti blocca la crescita militare dell’esercito damasceno e con operazioni diplomatiche consistenti frena la Turchia nel suo radicamento in Siria. Questo ultimo obiettivo si poggia nel fare pressione indiretta su Mosca affinché le basi russe in Siria di Tartous e Hmeimim non vengano smantellate a favore di due basi in Libia, specificatamente in Cirenaica. Secondo informazioni Reuters il governo israeliano punta sulla diplomazia di Washington per convincere Mosca a restare in Siria.
Tuttavia essendo la Turchia membro Nato, quindi alleata in questo contesto agli Usa, Israele avrebbe potuto chiedere direttamente ad Ankara la garanzia di rendere stabile la regione siriana senza condizionarne le scelte. Ma il governo di Tel Aviv ritiene i turchi fattore di “influenza negativa” sulla regione damascena, accusandoli di voler fare della Siria un protettorato turco; opinione decisamente condivisibile. Infatti in più occasioni Hakan Fidan, ministro degli Esteri turco, ha manifestato la necessità che Israele debba ritirarsi dalla Siria, quindi dalla “zona cuscinetto” e Golan. Quindi, secondo Fidan, per una Siria stabile basta che Israele cessi la sua politica espansionistica, ritirandosi dai territori occupati. Ma differenzierei il concetto di occupazione se frutto di una guerra di difesa.
La realtà è che Ankara ha svolto un ruolo chiave nel deporre al-Assad sostenendo le forze jihadiste dell’Hts, facendo firmare una onerosa “cambiale” al governo di transizione siriano, mantenendo così vincolanti relazioni o meglio obblighi. Ma la Siria cosa può fare in questo scenario? Potrei rispondere quasi nulla; economicamente è fallita dopo 14 anni di guerra e dopo la defenestrazione di al-Assad; strutturalmente è sfinita, anche a causa di un parziale controllo del Paese. Infine per ora l’unico paese su cui può contare è la Turchia, che nel suo mare di ambiguità politiche e diplomatiche e con una crisi interna minacciosa, non può dare a medio termine grande garanzie di affidabilità. Inoltre, la “presunta comunità internazionale”, in realtà, pare che attenda lo sviluppo degli eventi; anche perché quando di mezzo c’è Israele, ovvero la sua sicurezza, occorre mantenere almeno una generale e assoluta prudenza.
Aggiornato il 28 aprile 2025 alle ore 11:32