
Eventi
A partire dal 25 marzo scorso folle di gazawi, per la maggior parte giovani uomini, hanno marciato a migliaia lungo le strade fiancheggiate da edifici distrutti, scandendo slogan e mostrando striscioni. Marciano pacificamente, con i volti scoperti, in pieno giorno, e parlano con rabbia davanti alle telecamere che li riprendono in primo piano. Non attaccano Israele ma Hamas, i loro padroni jihadisti. Se Gerusalemme presterà loro attenzione, le loro proteste potrebbero segnare una svolta positiva nel conflitto israelo-palestinese.
Questo evento spontaneo e imprevisto è iniziato con un corteo funebre, a Beit Lahiya, un distretto della Striscia di Gaza, per poi diffondersi. Tra gli slogan scanditi, che ho ascoltato nei video, c’erano i seguenti:
1) “Abbasso Hamas”!
2)“Hamas non ci rappresenta”.
3) “Hamas vattene via”!
4) “Hamas è terrorismo”.
5) “Hamas è terrorista”.
6) “Il governo di Hamas ci ha distrutti”.
7) “Al diavolo Hamas”!
8) “Fuori, fuori, fuori, Hamas vattene via”.
9) “Fermiamo lo spargimento di sangue”.
10) “Stop alla guerra, vogliamo vivere”.
11) “Non vogliamo morire”.
12) “Rifiutiamo il governo di Hamas”.
13) “Vogliamo che la guerra finisca”.
14) “Vogliamo vivere in libertà”.
15) “Vogliamo vivere in pace”.
16) “Sì alla pace, sì alla pace”.
In alcune occasioni, i manifestanti sono andati oltre la semplice richiesta di sbarazzarsi di Hamas e hanno avanzato una richiesta politica specifica: “Qui, i cittadini chiedono che [Hamas] rilasci i prigionieri [israeliani]”. “Liberate i prigionieri [israeliani] per porre fine alla guerra”. (Si noti che intenzionalmente non menzionano Israele.)
Inizialmente, Hamas ha risposto schierando personale in borghese per intimidire e reprimere i manifestanti. In seguito, ha reagito in modo più aggressivo, definendo i manifestanti “collaboratori” e “traditori”. Insieme alle organizzazioni alleate, ha condannato “questi individui sospetti [che] sono responsabili quanto l’occupazione [israeliana] per lo spargimento di sangue del nostro popolo e saranno trattati di conseguenza”.
Fedele alle sue minacce, Hamas ha arrestato i giornalisti, ha sanzionato gli agenti di polizia che si sono dimostrati riluttanti a disperdere i manifestanti e ha ricompensato coloro che lo hanno fatto. Il gruppo ha sparato colpi di arma da fuoco in aria, ha arrestato i manifestanti, per poi picchiarli e torturarli.
Secondo quanto riferito, Hamas ha ucciso sei detrattori, e in particolare Odai Nasser al-Rubai. L’uomo aveva dichiarato pubblicamente: “Ho chiuso con questa guerra”, aggiungendo che Hamas “vuole spararmi”. In risposta, il gruppo lo ha rapito, torturato per quattro ore, legato alla parte posteriore di un’auto, trascinato per le strade, accoltellato ripetutamente, e ha scaricato il suo corpo morente a casa della sua famiglia. Coloro che hanno accompagnato il suo feretro hanno scandito numerosi slogan tra cui “Hamas fuori, fuori, fuori”, mentre i familiari invocavano “Dio Onnipotente di infliggere sofferenze” ai suoi assassini e di punirli severamente.
Reazioni
In una dichiarazione congiunta, i potenti ma solitamente codardi capi-clan di Gaza hanno invitato i gazawi a “lanciare una rivolta popolare”, esortando Hamas a “togliere immediatamente le mani da Gaza”. Fatah, il rivale palestinese di Hamas, ha solennemente ordinato ad Hamas di “rispondere all’appello del popolo palestinese nella Striscia di Gaza”.
Moumen al-Natour, ex prigioniero politico di Hamas, avrebbe dovuto celebrare il movimento: “I manifestanti anti-Hamas che sono al mio fianco a Gaza, e che stanno finalmente scoprendo la propria voce dopo aver perso tutto, sono per me tra le persone più coraggiose del mondo”.
I detrattori arabi di Hamas non si sono risparmiati, con il giornalista saudita Rashed al-Qahtani che forse è stato il più incisivo. Al-Qahtani ha definito la violenza di Hamas contro i gazawi “spregevole, orribile e ricorrente. È caratterizzata dal sadismo e costituisce un tentativo di recare rovina, umiliazione e disonore”.
Ovviamente, le autorità israeliane hanno accolto con favore le proteste. “Hamas insiste nel volervi portare all’inferno, la soluzione è nelle vostre mani”, hanno scritto in un messaggio di testo in massa inviato agli abitanti di Gaza. Rivolgendosi ai “residenti di Gaza” su X, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz li ha esortati a “imparare dai residenti di Beit Lahiya. Proprio come hanno fatto loro, chiedete la rimozione di Hamas da Gaza”.
Al-Natour si aspettava che gli oppressi gazawi che rischiano la vita per protestare contro Hamas avrebbero danneggiato la posizione internazionale di quest’ultimo: “Alcuni in Occidente saranno senza dubbio sconcertati nel vedere dei palestinesi scendere in piazza a Gaza e chiamare apertamente Hamas ‘terrorista’”. Ma quegli occidentali non sembrano affatto confusi, perché il mono-maniacalismo antisionista significa, come nota il senatore statunitense Bill Hagerty, ignorare gli eventi a Gaza: “Nessuna indignazione da parte della Sinistra radicale pro-Hamas negli Stati Uniti e nessuna copertura da parte dei media mainstream perché [la protesta] non si adatta alla loro narrazione”.
Il leader dei Verdi australiani Adam Bandt ha parlato a nome di molti quando ha inizialmente ignorato la persecuzione dei gazawi da parte di Hamas, chiedendo piuttosto a Canberra di rispondere “facendo pressione sul governo estremista di Netanyahu per porre fine all’occupazione della Palestina, che è la causa principale del conflitto, e porre fine all’invasione di Gaza”. In questo, Bandt ha fatto eco ad Al-Jazeera, la rete di propaganda di Hamas che i manifestanti hanno denunciato espressamente. Proteste? Certo che sì. Si sono svolte e hanno chiesto “la fine della guerra di sterminio di Israele contro Gaza”.
Cause
I sentimenti anti-Hamas fra gli abitanti di Gaza non sono una novità. Già prima del 7 ottobre, sondaggi d’opinione e prove aneddotiche indicavano che la maggior parte di loro nutriva disprezzo per i loro governanti di Hamas. Ma il potere e la brutalità di questi ultimi limitavano l’espressione di malcontento a mormorii e alla decisione di andarsene. Pertanto, si stima che negli otto mesi successivi al 7 ottobre, circa 115 mila gazawi, ovvero quasi il 5 per cento della popolazione, abbiano lasciato la Striscia di Gaza.
Molti altri vorrebbero seguire le loro orme. Nella prima metà di marzo, un sondaggio Gallup International ha chiesto agli abitanti della Striscia: “Lascereste Gaza se ne aveste l’opportunità?” Il 4 per cento ha risposto che “manderebbe la famiglia all’estero, ma [loro stessi] rimarrebbero a Gaza”; il 38 per cento ha dichiarato che “se ne andrebbe temporaneamente, per poi farvi ritorno in futuro” e il 14 per cento ha affermato che la “lascerebbe definitivamente”. Complessivamente, quindi, il 56 per cento cerca di fuggire in un modo o nell’altro. Persino Khalil Shikaki, direttore di un’agenzia di sondaggi favorevole ad Hamas, ha ammesso che il gruppo gode del sostegno solo di “quasi un terzo” degli abitanti di Gaza.
Ma perché le proteste sono scoppiate proprio adesso? Per due motivi principali: come ha detto un attivista, “non abbiamo assolutamente nulla da perdere. Abbiamo già perso tutto, quindi non abbiamo paura”. Altrettanto importante è il fatto che le incursioni sistematiche di Israele hanno indebolito le forze di sicurezza interna di Hamas. Israele, dunque, ha offerto ai gazawi l’opportunità di esprimere la loro avversione di Hamas in due modi.
Scetticismo
La maggior parte degli osservatori ritiene che le proteste siano popolari, sincere e importanti. Issa Karim, uno scrittore dissidente di Gaza, afferma che “prima, molti gazawi che volevano esprimere la loro rabbia nei confronti di Hamas, non erano in grado di farlo. Ora, i palestinesi si sentono liberati e dicono all’unisono una cosa: ‘Hamas fuori da Gaza!’”. Ohad Merlin del Jerusalem Post afferma che “la barriera di paura che ha prevalso a Gaza durante 18 anni di governo di Hamas è stata infranta". Secondo gli analisti del Washington Institute for Near East Policy, “la portata e l’audacia” delle critiche sono senza precedenti.
Ma le proteste hanno altresì suscitato un certo scetticismo perché, come spiega Merlin, “erano così rare e sorprendenti che gli analisti hanno avuto difficoltà a considerarle spontanee o autentiche”. Justin Amler dell’Australia/Israel & Jewish Affairs Council avverte che non c’è motivo di credere che i manifestanti di Gaza abbiano improvvisamente abbracciato “i valori della pace, della coesistenza e della democrazia”. Ma alcuni abitanti di Gaza parlano apertamente, insieme a uno studente di giurisprudenza, di “vera pace tra palestinesi e israeliani” e affermano di meritare un’opportunità per dimostrare la loro sincerità.
Altri scettici si spingono oltre, chiedendosi se Hamas non stia segretamente cospirando con i manifestanti. Il giornalista israeliano Zvi Yehezkeli sospetta che Hamas abbia permesso loro di dimostrare di non essere totalitario, di ritardare i negoziati con Israele e di ottenere informazioni sui propri oppositori. Bassam Tawil, autore del Gatestone Institute, mette in guardia dal “farsi ingannare dalle proteste anti-Hamas” e vede in queste uno stratagemma: “Questo è lo stesso Hamas che ha continuato a far capire a tutti, anni prima che i suoi terroristi attaccassero Israele il 7 ottobre 2023, che non era interessato a un altro round di combattimenti”. Sebbene lo scetticismo sia sano, i video rivelano una sincera serietà e la risposta omicida di Hamas lo conferma.
Implicazioni
Le proteste a Gaza non hanno alcuna possibilità di rovesciare l’inafferrabile regime di Hamas. Tuttavia, hanno implicazioni potenzialmente importanti per la politica israeliana nei confronti della Striscia, e quindi per il suo futuro. Le manifestazioni sono una dimostrazione lampante che finalmente ci sono cittadini di Gaza che disprezzano Hamas. In altre parole, prefigurano di fatto il futuro staff di un’amministrazione del tipo richiesto da Gerusalemme un anno fa: “Gli affari civili e l’ordine pubblico saranno gestiti da attori (funzionari) locali con ‘esperienza amministrativa’”.
Questo è ciò che io definisco una Striscia di Gaza dignitosa gestita da gazawi dignitosi, e in cui gli israeliani supervisionano una forza di gestione e sicurezza composta da cittadini di Gaza. Israele imiterebbe così il vicino Egitto non tollerando alcuna sfida alla propria autorità, ma lasciando generalmente in pace la popolazione. Una soluzione del genere eviterebbe due alternative indesiderabili: il controllo diretto di Israele o il mantenimento del potere da parte di Hamas.
Almeno alcuni abitanti di Gaza capiscono la necessità di influenzare l’opinione pubblica israeliana. Uno dei manifestanti, uno studente dell’Università islamica di Gaza, si rammarica del fatto che Israele definisca gli abitanti di Gaza “animali” e spera che gli israeliani smettano di dire “che sette milioni di palestinesi sono terroristi”. Questi gazawi meritano di essere ascoltati a Gerusalemme e altrove.
(*) Tratto dal Middle East Forum
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 16 aprile 2025 alle ore 09:47