
Mentre i mass media europei si dilettano a diffondere delle narrazioni caricaturali sia sulla persona di Donald Trump che sulla sua politica economica estera, il presidente statunitense tira dritto verso l’obiettivo, ossia quello di aumentare l’egemonia politico-economica nel panorama mondiale e rendere autonomi gli Usa dalle dipendenze energetiche nei confronti delle altre nazioni, perlopiù concorrenti, se non avversarie. Trump sta declinando tutta la sua esperienza imprenditoriale, sciorinando la tecnica commerciale del “tira e molla”, ottenendo già dei risultati immediati come l’accettazione di alcuni alleati della regione Indo-Pacifica riguardo all’acquisto di gas naturale liquefatto (cosiddetto Gnl) estratto e proveniente dallo Stato dell’Alaska. La notizia era nell’aria da mesi, ma ora ha assunto contorni definiti: Washington ha deciso di puntare tutto sul progetto Alaska Lng per consolidare la propria supremazia energetica e geopolitica nella regione Indo-Pacifica. A spingere l’acceleratore è stato il presidente Donald Trump, che nel bilaterale di febbraio con il premier giapponese Shigeru Ishiba aveva già tracciato la rotta: più gas naturale liquefatto americano, meno dipendenza dagli avversari strategici.
L’annuncio fulmineo dei dazi, imposti e rimossi nel giro di poche ore, ha messo in chiaro la nuova dottrina trumpiana: creare pressione sugli alleati per poi negoziare da una posizione di forza e Taiwan ha risposto prontamente. Come confermato dal Ministero dell’Economia taiwanese, Taipei si è detta pronta ad acquistare fino a 200 miliardi di dollari di Gnl dagli Usa nei prossimi anni, aumentando di un terzo le importazioni statunitensi. Invero, non si tratta di una mossa isolata e Giappone, Corea del Sud e Filippine, tradizionali satelliti americani nel Pacifico, si starebbero allineando, cercando di ottenere in cambio un “regime tariffario zero” da parte di Washington. La politica del “bastone e carota” sembra dunque dare i suoi frutti, rafforzando la rete economica ed energetica che lega sempre più strettamente gli alleati asiatici agli Stati Uniti. Il progetto Alaska Lng, valutato circa 44 miliardi di dollari, prevede la costruzione di un imponente sistema di infrastrutture: un gasdotto che attraversi l’Alaska artica fino ai porti del Sud e un oleodotto di 800 miglia dal North Slope al terminal pacifico. Gli investimenti, che verranno cofinanziati anche dagli alleati asiatici, sono mastodontici, ma Washington li presenta come una “vittoria win-win”: posti di lavoro negli Stati Uniti, riduzione del deficit commerciale, maggiore influenza globale. Secondo il governatore dell’Alaska Mike Dunleavy, le esportazioni potrebbero partire entro il 2030, assicurando un flusso di 3,5 miliardi di piedi cubi di gas al giorno. Un quantitativo sufficiente a rafforzare il primato degli Stati Uniti, già oggi primo esportatore mondiale di Gnl, risultato amplificato dalla crisi energetica europea seguita alla guerra in Ucraina. Quindi, dietro il rilancio dell’Alaska Lng si cela una visione strategica precisa: spostare gli equilibri globali tagliando le dipendenze energetiche dei partner asiatici da Russia, Cina e Paesi mediorientali. L’obiettivo è duplice: da un lato consolidare la leadership energetica americana, dall’altro indebolire le economie rivali sottraendo loro quote di mercato vitali.
I rischi non mancano e gli enormi costi ambientali e logistici che avevano inizialmente affossato il progetto non sono scomparsi. Le preoccupazioni legate agli ecosistemi artici, alla sostenibilità delle infrastrutture e alle sfide tecnologiche permangono. Inoltre, resta da vedere fino a che punto gli alleati saranno disposti a sobbarcarsi il peso economico di un piano fortemente sbilanciato a favore di Washington. Pertanto, Trump sembra avere pochi dubbi, come ha dichiarato su Truth Social: “La grande protezione militare che forniamo va ripagata. L’acquisto di Gnl e la joint venture per l’oleodotto dell’Alaska sono il minimo che possiamo chiedere”. Al postutto, l’amministrazione Trump, in modo inequivocabile, lancia un messaggio alquanto chiaro e deciso, che fonde protezionismo economico e assertività geopolitica, in una miscela esplosiva destinata a ridefinire i rapporti di forza nell’Indo-Pacifico. Di conseguenza, suscita ancor più sconcerto la puerile indifferenza e mancanza di analisi seria sui veri obiettivi dell’amministrazione Usa da parte tanto della classe politica quanto dei mas media europei, a riprova del fatto che il conformismo comunicativo che cerca di dare una narrativa dei fatti diversa e molto spesso antitetica alla realtà non giovi soprattutto ai destinatari di queste informazioni fallate, ossia i cittadini europei stessi.
Aggiornato il 15 aprile 2025 alle ore 11:36