Dazi: Trump osserva i chip

Donald Trump torna a puntare con decisione sulle tariffe commerciali, riaprendo il fronte (sempre lontano dall’essere chiuso) delle tensioni con Pechino e lanciando un messaggio chiaro al mercato globale. “Non si salva nessuno, soprattutto la Cina che è quella che ci ha trattato peggio”, ha scritto il presidente sul suo social network Truth, precisando che “non è stata annunciata nessuna eccezione venerdì” per smartphone e computer portatili. I dispositivi, ha aggiunto, restano “soggetti a tariffe del 20 per cento per il fentanyl” e saranno inclusi nella più ampia indagine sui semiconduttori, motivata da esigenze di sicurezza nazionale. Nel suo messaggio, Trump ha ribadito la necessità di rilocalizzare la produzione sul territorio americano: “Non saremo tenuti in ostaggio da nessun Paese, soprattutto da Paesi ostili come la Cina”, sottolineando ancora una volta l’obiettivo politico ed economico alla base della strategia daziaria: riportare la manifattura tecnologica negli Stati Uniti.

Il chiarimento dell’ex presidente giunge al termine di un fine settimana in cui, accanto ai dossier commerciali, non sono mancati momenti di visibilità pubblica. A Miami, Trump è stato accolto da un’ovazione al Kaseya Center in occasione della card di Ufc, la più importante organizzazione di arti marziali miste: “È stato leggendario. È stato un grande onore perché indica che stiamo facendo un buon lavoro. Se non fosse così, non ci sarebbe stata alcuna ovazione”, ha dichiarato, apparendo soddisfatto del consenso ricevuto. Sul fronte della salute, un recente check-up annuale ha confermato condizioni fisiche definite “eccellenti”: “Il suo stile di vita attivo continua a contribuire in modo significativo al suo benessere”, ha scritto il medico personale, citando le “frequenti vittorie agli eventi di golf”.

L’intervento di Trump arriva a poche ore dalla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale di un elenco di beni esentati temporaneamente dai dazi reciproci, tra cui proprio smartphone e laptop. Una misura che aveva fatto sperare in una distensione, ma che è stata subito ridimensionata dal dipartimento al Commercio: si tratta di una sospensione provvisoria, in attesa delle decisioni definitive nell’ambito delle indagini settoriali, in particolare quella sui chip. Un’inversione di rotta che rappresenta un colpo per la Silicon Valley, in particolare per Apple e Nvidia, e per i mercati, che già nelle scorse sedute avevano reagito con volatilità crescente.

Per la Cina, che aveva salutato l’esenzione come un “piccolo passo in avanti”, le parole di Trump hanno rappresentato una battuta darresto. “Esortiamo gli Stati Uniti a fare un grande passo avanti per correggere i propri errori, cancellare completamente la pratica errata dei dazi reciproci e tornare sulla giusta strada del rispetto reciproco”, aveva dichiarato il Ministero del Commercio cinese, prima della gelata ufficiale. A rafforzare la posizione della Casa Bianca è intervenuto anche Howard Lutnick, che in un’intervista alla Abc ha confermato l’imminenza di tariffe mirate: “I dazi sui semiconduttori arriveranno in uno o due mesi”, ha detto, lasciando intendere che anche l’iPhone potrebbe rientrare nel nuovo pacchetto restrittivo. Alla domanda se ciò valesse anche per gli smartphone Apple, Lutnick ha risposto: “corretto, è giusto. Abbiamo bisogno che le nostre medicine, i nostri semiconduttori e i nostri dispositivi elettronici siano prodotti in America”.

La tempistica ipotizzata, tra i 30 e i 60 giorni, preoccupa gli investitori già scettici sulla tenuta della tregua di 90 giorni concessa per i dazi reciproci, giudicata insufficiente per negoziare intese bilaterali con oltre 150 Paesi. Secondo fonti della Casa Bianca, sarebbero già 75 gli Stati che hanno contattato Washington per avviare colloqui commerciali. L’amministrazione americana, però, sembra intenzionata a privilegiare partner strategici come Giappone, Corea del Sud, Vietnam e India, con l’obiettivo dichiarato di contenere l’influenza economica cinese. Le conseguenze sui mercati non si sono fatte attendere. Wall Street ha reagito con nervosismo, mentre il dollaro e i Treasury sono finiti sotto pressione, mettendo in discussione lo status di asset-rifugio del sistema finanziario statunitense. Ad esempio, stamattina l’euro è stato scambiato a 1,2 dollari. La Federal reserve, pur dichiarandosi pronta a intervenire, osserva la situazione con prudenza. Il presidente della Fed di Minneapolis, Neel Kashkari, ha rassicurato sulla riapertura dei mercati ma ha anche precisato che l’unico compito della banca centrale in questo momento è ancorare le aspettative d’inflazione.

Aggiornato il 14 aprile 2025 alle ore 15:04