Siria: il governo jihadista nomina una donna ministro

Quando sabato 29 marzo al Palazzo del Popolo, ubicato sulle alture di Damasco, il presidente di transizione Ahmed Al-Charaa, da jihadista conosciuto come Abū Muḥammad al-Jūlānī, ha presentato la squadra dei suoi ministri, si è avuta l’impressione che questo jihadista e golpista fosse meno integralista e sovversivo di molti altri presidenti di Stati musulmani considerati moderati. Al-Charaa, come ho più volte sottolineato, oltre ad adottare un abbigliamento laico con giacca e cravatta, cosa non comune per un jihadista, ha mostrato la volontà di fare ciò che ha sempre dichiarato, cioè di dare giusto spazio a tutte le rappresentanze religiose e sociali del Paese.

Una grande espressione di tale apertura politica e sociale l’ha dimostrata chiedendo ad una donna siriana di rappresentare nel suo Governo il Ministero degli Affari Sociali e del Lavoro. Così una donna cristiana, oppositrice del regime di Assad, che non era mai tornata in Siria durante i quattordici anni di guerra civile, ha accettato l’incarico di coprire questo strategico dicastero. La neo-nominata ministra, Hind Kabawat, in queste due prime settimane di incarico ha riscosso notevoli testimonianze di sostegno da tutti i settori della società; in più occasioni ha dichiarato che la sua posizione non appartiene ad alcuna religione o confessione, ma a tutti i siriani. La Kabawat ha anche affermato che ora la Siria non è più un Paese appartenente a una sola religione o confessione, facendo riferimento al gruppo sciita alawita a cui apparteneva la famiglia al-Assad che ha governato il Paese dal 1970, a seguito di un colpo di Stato eseguito dal generale Hafiz al-Assad, appartenente al partito Baath, padre di Bashar.

La neo ministra ha riscosso molto successo, ed aperto speranze non scontate nella articolata società siriana; infatti ha ricevuto l’approvazione e l’incoraggiamento dai capi religiosi della eterogenea comunità cristiana, una delle più antiche del mondo, dai drusi, dagli ismailiti, dai musulmani ed anche dagli alawiti (musulmani sciiti dalle molte peculiarità). La Kabawat ha un “curriculum sociale” molto nutrito, avendo operato per anni nell’ambito della società civile e nel dialogo interreligioso e intergenerazionale. Conosce la realtà degli Yazidi, dei curdi, collocati nell’area nord della Siria (Kobane ed Afrin), con i quali ha collaborato, oltre ad avere cooperato con tutte le comunità, superando le divisioni che fede e religione demarcano nell’area mediorientale.

Questa cristiana cattolica di 51 anni laureatasi a Damasco e specializzata a Beirut, è l’unica donna in una giunta di 23 ministri, alcuni ex jihadisti; un’esclusività di genere che Kabawat ha voluto sottolineare anche verso il capo del governo Ahmed Al-Charaa, rivendicando spazi maggiori per il genere femminile. Kabawat è anche attivista per i diritti delle donne, ed ha dichiarato che si impegnerà affinché la rappresentanza femminile siriana si rafforzi all'interno delle istituzioni governative e tra le nuove autorità statali. Un ruolo molto delicato quello della neo ministra, in quanto dopo anni di guerra civile e instabilità, il numero di orfani, sfollati, persone vulnerabili e poveri nel Paese è enorme.

Kabawat, in un quadro dove ha dovuto respingere anche critiche in quanto accusata di rivestire il ruolo di garante della diversità all’interno del governo siriano, ha sottolineato che il nuovo governo è stato strutturato facendo riferimento al merito; infatti l’esecutivo è composto da tecnocrati e non da figure di potere con interessi personali. Leggendo i curricula dei ministri in effetti sembra che nessuno senza esperienza sia stato nominato, e la capacità ed esperienza sono stati osservati per ogni incarico ministeriale specifico. Quindi selezioni sul retroterra culturale giuridico ed esperienziale, non escludendo validi funzionari dell’ex regime di Assad. Ricordo che Bashar al-Assad presidente della Siria per quasi 25 anni, è dall’8 dicembre rifugiato in Russia; è così terminato il regime del partito Baath, nato in Siria, un partito che ha rappresentato il socialismo arabo e laico; fondato da tre siriani, il musulmano sunnita Salah al-Din al-Bitar, dal cristiano ortodosso Michel Aflaq, e Zaki al-Arsuzi, musulmano sciita alawita; lo statuto del partito cita che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo.

Ahmed al-Sharaa, capo delle milizie jihadiste anti-regime che ha rovesciato Assad, ha assunto l’incaricato di presidente di transizione il 29 gennaio e ha formato il governo il 30 marzo. Alla luce di quanto dimostrato fino ad ora, ovvero una donna cristiana ministro di un dicastero strategico, soprattutto in una fase post-guerra, e la formazione di un governo tecnocratico, e religiosamente pluralista, si pongono alcuni interrogativi: questa operazione dell’ex jihadista al-Charaa è proiettata a fini elettorali? Ovvero, una volta acquisita la fiducia del popolo, e concluso il periodo di transizione con una elezione, potrà applicare in Siria la shari’a, quindi una dittatura islamica? Oppure questa impostazione di modello governativo tecnocratico e aperto alla pluralità di genere e religiosa sarà duraturo e strutturale nel futuro?

Un fattore è innegabile, per ora possiamo affermare che non tutti i jihadisti sono uguali, oppure che dall’ideologia jihadista si può uscire. Tuttavia anche i siriani, nella loro eterogeneità, hanno caratteristiche socio-culturali peculiari, tanto è che hanno fondato il partito Baath massima espressione nel mondo arabo di socialismo, laicismo e anche nazionalismo. Forse una radice culturale laica che influenza anche l’ideologia jihadista?

Aggiornato il 14 aprile 2025 alle ore 10:07