
Vladimir Putin è smart? Nel senso di possedere qualche passione tecnologica, che so, nell’avere in tasca uno smartphone ultimo grido, o un laptop di più recente generazione? Beh, le cose stanno esattamente al contrario, come testimonia un articolo molto informato del Financial Times. Non solo il Capo del Cremlino non ha un cellulare, ma perfino i suoi stretti collaboratori sono obbligati per ragioni (fobiche) di sicurezza a utilizzare macchine da scrivere, sul tipo di quella mitica di Oriana Fallaci, la famosa Olivetti 22. Non è noto, poi, come questi messaggi viaggino da e verso i destinatari, dato che non c’è gran movimento di piccioni viaggiatori (causa freddo) attorno alla Piazza Rossa.
Ora, scherzi a parte, la sviluppata idiosincrasia per l’Ai (Intelligenza artificiale) è giustificata dal fatto che Putin, come Xi Jinping, ben conosce gli effetti della devastante guerra ibrida della cybersecutity, avendo ai suoi comandi un esercito di centinaia di migliaia di hackers (la Cina ne ha milioni!), che hanno già fatto danni incalcolabili ai suoi nemici occidentali. Ma qui si pone un bel problema, visto che, tanto per esemplificare, la più grande banca statale russa, la Sberbank, ha acquistato appena 9mila interfacce grafiche dal 2022, contro le 500mila di Microsoft nel solo 2024. La cosa è facilmente spiegabile a causa, in primo luogo, del downgrading inevitabile delle alleanze di Mosca dovuto alle sanzioni, che l’hanno costretta a passare dalla tecnologia occidentale a quella (utile in guerra, ma inutile nella rincorsa tecnologica) dei suoi più stretti alleati nei Brics, come Iran e Venezuela, veri e propri hub per l’acquisto di droni e dei traffici illegali di petrolio.
Il secondo aspetto del sottosviluppo tecnologico di cui oggi soffre la Russia è spiegabile con la fuga dei cervelli, dato che si calcola sia emigrato all’estero dall’inizio della guerra il 10 per cento della sua forza lavoro qualificata. Per tutte queste circostanze, oggi Mosca è appena 31ma nel ranking del Media’s Global Ai Index, molto indietro, quindi, a tutte le altri grandi economie del mondo e persino a piccoli Paesi molto innovativi, come Portogallo, Norvegia, Irlanda e Lussemburgo.
Insomma, se oggi Mosca non avesse un arsenale nucleare di migliaia di testate tattiche e strategiche sarebbe un Paese africano sottosviluppato, con immense ricchezze naturali non sfruttate nel suo sottosuolo. E il nucleare, infatti, rimane il grande business mondiale russo, dato che la sua tecnologia non ha rivali nel mondo per gli impianti civili e per le mini centrali sicure, che utilizzano carburante di uranio altamente efficiente e a bassissimo rilascio di scorie finali. Il fatto che Putin, al contrario di Xi, non abbia puntato tutte le sue carte sull’Ai di ultima generazione, non gli garantisce quel controllo politico della Rete che, invece, il suo alleato cinese domina in tutti i suoi aspetti, censurando qualsiasi nascente opposizione al regime. Il problema dell’arretratezza tecnologica ha dirette conseguenze negative sul sogno putiniano di riconquista (letterale!) delle terre perdute, dato che, senza un’industria nazionale dei semiconduttori avanzati, gli viene a mancare la potenza computazionale per la produzione di sistemi avanzati di difesa, quali droni, missili-antimissile e ipersonici. L’Electronic Warfare, oggi sempre più importante sui campi veri di battaglia, per oscurare i sistemi radar e tenere lontani i droni d’attacco nemici.
Tra l’altro, come i progressi tecnologici stanno dimostrando nella guerra in Ucraina, la Russia non ha al momento nessuna possibilità di mettersi al passo con gli altri “grandi” nel settore ultramoderno dei sistemi autonomi d’arma, come quelli della robotizzazione del trasporto di munizioni e materiale bellico, o del recupero dei feriti sui campi di battaglia. Questa palese difficoltà della Russia è una specie di manna per i suoi avversari, che possono tenerla a bada ancora per molti decenni con la semplice tattica del “deterrence-by-denial strategy”.
Non si tratta di una cabala ma di una strategia molto concreta, come quella di negare al nemico l’accesso alle tecnologie informatiche soft-hard avanzate, che consentono all’Occidente di mantenere intatto il suo vantaggio tecnologico. Basta, in tal senso, che l’amministrazione Trump tenga fuori dal tavolo della trattativa con Putin qualunque accenno a possibili accordi sui semiconduttori avanzati. Tra l’altro, sostenendo debitamente l’Ucraina, Kiev potrebbe fare da attrattore positivo nella regione, per il rilascio di visti a laureati e scienziati russi che abbiano conoscenze di primo piano in materia di Ai.
L’altro aspetto di guerra ibrida antiputiniana, suggerita da Financial Times (Ft), consiste nell’alfabetizzare gli oppositori interni a Putin sull’Intelligenza artificiale evoluta, mettendoli in grado di colpire con atti di sabotaggio centri vitali delle grandi reti di distribuzione e delle industrie belliche, in modo da provocare un tale stato d’allarme nel suo entourage da convincere i suoi più stretti collaboratori a cambiare cavallo. E, al contrario di quanto è accaduto con la scoperta e la commercializzazione del modello cinese di Ai evolutiva a basso costo, il DeepSeek-V3, per la Russia non si pone il problema che un giorno possa giocare un ruolo di player mondiale in questo settore, a causa della sua arretratezza nel computing machine. Anche se occorre fare attenzione alle recenti mosse della stessa Sberbank che, come negli anni ‘80 il Kgb di Putin (l’unico ente sovietico che avesse all’epoca l’esatta percezione del divario Est-Ovest), ha pensato bene di colmare il gap, co-finanziando joint-venture con la Cina per la ricerca avanzata nell’Ai.
Agendo sulla stessa lunghezza d’onda, il governo russo ha nel contempo provveduto a licenziare Yury Borisov, il 68nne responsabile dell’Agenzia Spaziale Roscosmos, sostituendolo con il 39nne Dmitry Bakanov, una sorta di mago dell’high-tech.
Il vero problema della deterrenza informatica anti-Putin è però un altro: non sappiamo di qui a qualche anno quale sarà il panorama iper-tecnologico della dissuasione. Anche se è ben possibile che, addirittura, l’evoluzione dell’Ai sia tale da permettere una first-strike-capability che impedisca ai russi di reagire.
Per Ft la Russia oggi sta messa così: “Utilizza tattiche (di battaglia) da XX secolo, perseguendo obiettivi del XIX secolo (conquiste fisiche di territori), senza accorgersi che il XXI secolo sta passando sopra la sua testa”. Cioè, la Russia rischia nel prossimo futuro di essere un Paese sottosviluppato nuclearizzato, avendo perso tutti i treni in corsa della modernizzazione. Amen.
Aggiornato il 08 aprile 2025 alle ore 17:09