
Avrebbe dovuto rientrare in Israele e poi volare a Washington la prossima settimana. Ma i piani di Benjamin Netanyahu sono stati stravolti da una telefonata inattesa da parte del commander-in-chief degli Stati Uniti. Mentre era ancora a Budapest, accolto da Viktor Orbán contro il mandato di arresto internazionale della Cpi, il primo ministro dello Stato ebraico ha deciso di partire direttamente per gli Stati Uniti. Ieri, senza fare ritorno a Gerusalemme, Netanyahu è decollato dall’Ungheria verso Washington. A riferirlo è stato un alto funzionario israeliano, parte dello staff del premier, che ha dichiarato ai giornalisti: “Non ha idea di che cosa il presidente Usa voglia parlarci, e perché sia così urgente e importante per lui. Pensavamo a un incontro la prossima settimana”.
Tra i dossier sensibili che l’ufficio di Netanyahu ha messo sul tavolo ci sarebbero la questione dei dazi, il ritorno degli ostaggi, le relazioni con la Turchia, la minaccia iraniana e la campagna contro la Corte penale internazionale. Non è chiaro se e quali priorità della Casa Bianca coincidano con quelle israeliane, ma qualcosa si potrà intuire durante le dichiarazioni congiunte previste al termine dell’incontro di oggi (che molto probabilmente in Italia leggeremo domani). Sul vertice, secondo indiscrezioni, pesa anche la regia del ministro della Difesa Yoav Gallant e quella del collega degli Esteri Israel Katz. Quest’ultimo, in particolare, sembra voler costruire un caso internazionale contro Teheran, rendendo pubblico un rapporto d’intelligence secondo cui i defunti leader di Hamas, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, avrebbero chiesto 500 milioni di dollari al comandante dei pasdaran per finanziare la “distruzione di Israele in due anni”. Richiesta accettata e denaro inviato, scrive Katz, convinto che ciò confermi un coinvolgimento diretto dell’Iran nell’attacco del 7 ottobre, e dunque la legittimità di una risposta israeliana. Durante la visita americana, Netanyahu affronterà anche la spinosa questione dei dazi del 17 per cento imposti sui prodotti israeliani e incontrerà il segretario al Commercio Howard Lutnick.
Intanto, nella Striscia di Gaza, non si arresta l’offensiva dell’Idf. Raid aerei hanno colpito aree nel sud e nel centro dell’enclave: tra la notte e il pomeriggio di ieri, secondo dati di Hamas, sono state registrate almeno 44 vittime. Il tema del cessate il fuoco sarà al centro del vertice del 7 e 8 aprile al Cairo, con la partecipazione del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del presidente francese Emmanuel Macron e del re giordano Abdallah II. Per Netanyahu e la moglie, invece, niente permanenza prolungata negli Stati Uniti. Il premier dovrà rientrare a Gerusalemme mercoledì, costretto dalla procura generale a presenziare all’udienza del processo in cui è imputato per corruzione e frode.
Nel frattempo, secondo quanto riferisce Ynet citando fonti della sicurezza israeliana, Tel Aviv si prepara ad allentare parzialmente il blocco su Gaza. Nelle prossime settimane sarà consentito l’ingresso di una quantità limitata di aiuti umanitari per scongiurare nuove accuse di violazione del diritto internazionale e tutelare i comandanti militari da potenziali future conseguenze legali. “Non c’è carestia né inizio di malattie a Gaza, ma tra circa 40-50 giorni i magazzini alimentari saranno vuoti. La scorsa settimana ci sono stati incidenti quando i residenti hanno fatto irruzione nei magazzini con la farina che avevamo portato e li hanno trasferiti sotto il controllo di Hamas”, affermano le fonti. Israele aveva interrotto l’ingresso degli aiuti il mese scorso, dopo il rifiuto di Hamas di prolungare la fase iniziale dell’accordo del 19 gennaio sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi.
Aggiornato il 07 aprile 2025 alle ore 16:06