
La tensione tra Israele e Turchia continua a crescere, alimentando uno scenario sempre più incandescente in Siria. I raid aerei israeliani si sono intensificati, colpendo postazioni militari strategiche, tra cui la base T4 a est di Homs e l’aeroporto militare di Hama. Un’escalation che tocca uno dei nodi più delicati del conflitto: Ankara, che sostiene il nuovo governo di Damasco, vuole il controllo della base per rafforzare la propria influenza nell’area. E le reazioni in Siria non si sono fatte attendere. A Damasco e a Daraa migliaia di persone sono scese in piazza per i funerali dei nove “martiri” uccisi nei raid israeliani. Dopo un momento di stallo, la rabbia e la tensione ricomincia a crescere in Siria, così come la volontà di resistere con le armi. E proprio nel sud del Paese, a Nawa, alcuni gruppi locali hanno risposto agli attacchi imbracciando i fucili, ripetendo quanto accaduto il 25 marzo, quando altri civili si erano sollevati contro l’avanzata israeliana.
Le Forze di difesa israeliane sostengono di aver reagito a colpi di arma da fuoco provenienti dall’area di Daraa, dove uomini armati avrebbero attaccato le forze israeliane impegnate in operazioni nel sud-ovest della Siria. Ma per Damasco si tratta di “un atto deliberato di destabilizzazione”. Il Ministero degli Esteri siriano ha denunciato un’“escalation ingiustificata”, mentre l’inviato speciale delle Nazioni unite per la Siria, Geir Otto Pedersen, ha chiesto a Israele di fermare “questi attacchi, che minano gli sforzi per costruire una nuova Siria in pace con se stessa e con la regione”. Da Tel Aviv la risposta è stata immediata. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha lanciato un avvertimento diretto ad Ahmad Sharaa (Jolani), leader siriano sostenuto dalla Turchia: se la sicurezza di Israele sarà minacciata, “il suo governo pagherà un caro prezzo”. Da Parigi, il ministro degli Esteri di Gerusalemme Gideon Sa’ar ha accusato Ankara di avere un “ruolo negativo in Siria” e ha assicurato che Israele impedirà alla Siria di diventare un “protettorato turco”. Nel frattempo, secondo fonti locali, l’esercito turco sta lavorando per ripristinare la piena operatività della base T4, situata tra Homs e Palmira, lungo l’asse strategico che porta all’Eufrate. L’obiettivo di Ankara sarebbe quello di ampliare la base e installare il sistema missilistico di difesa aerea Hisar.
Come ieri in Siria, da un po’ di tempo sono tornanti anche i raid in Libano. A Sidone, è stata confermata dalle Idf l’eliminazione di Hassan Farhat, dirigente di Hamas noto come Abu Yasser. Le immagini circolate sui media mostrano un edificio in fiamme, con macerie sparse tra le strade e auto distrutte. L’attacco ha colpito un quartiere densamente popolato, seminando il terrore tra gli abitanti. Man questo non è il primo “pezzo grosso” delle milizie filo-iraniane neutralizzato da Israele da quando si è ricominciato a sparare. Il primo aprile, un raid israeliano aveva colpito la periferia meridionale di Beirut, roccaforte di Hezbollah, eliminando un alto comandante del gruppo filo-iraniano. E ancora prima, il 28 marzo, un’altra operazione aveva preso di mira la stessa zona, segnando la prima violazione del cessate il fuoco in vigore dal 27 novembre.
Ma il fronte più inaspettato si apre all’interno della Striscia di Gaza. Per la seconda volta in pochi giorni, una famiglia locale ha accusato Hamas di aver ucciso un suo membro. La potente famiglia Hassanein di Gaza City ha denunciato pubblicamente l’omicidio di Saadi Sakhr Hassanein, avvenuto in circostanze oscure all’interno di un magazzino dell’agenzia Onu Unrwa. Secondo il loro racconto, “il nostro figlio Saadi Sakhr Hassanein è andato al magazzino dell’Unrwa per ritirare del cibo. Mentre era lì, si è radunata una folla, che ha scatenato una violenta reazione da parte delle forze di sicurezza, le cui identità ci sono note. Un membro del personale di sicurezza ha iniziato a sparare a coloro che si trovavano sul posto”. Un’esecuzione a sangue freddo, secondo la famiglia, che accusa l’agente di averlo colpito prima a una gamba e poi al torace, uccidendolo sul colpo. “La nostra famiglia non nutre alcuna ostilità verso alcuna entità governativa o organizzativa in generale”, si legge nel comunicato, ma l’avvertimento è chiaro: se non ci sarà giustizia, ci penseranno loro.
Aggiornato il 04 aprile 2025 alle ore 14:01