Liberate Berlino, per evitare Weimar

Che cosa accade alla Germania di Friedrich Merz? Semplice e complicato al tempo stesso, dovendo oggettivamente descrivere la sua mutazione innaturale da formica a cicala, avvenuta azionando una sorta di “forcipe” politico. Nel senso che l’approvazione della modifica costituzionale del famoso Schuldenbremse, o “Freno al debito”, è avvenuta proprio ai limiti (ma, forse, molto oltre) della correttezza istituzionale. Infatti, con una tempestività mai vista prima nella storia tedesca, la nuova coalizione rossonera (Cdu, Spd, con l’aggiunta dei Verdi) si è messa d’accordo, quando ancora manca del tutto il programma di governo, per convocare in fretta e furia un Parlamento di fatto scaduto, in cui però i vecchi alleati di oggi godevano al suo interno della maggioranza qualificata dei due terzi, indispensabile per modificare la Costituzione. Questo perché, alla luce dei risultati dell’elezione di febbraio scorso, nel nuovo Bundestag appena insediato le ali estreme di destra e di sinistra possiedono la prevista (e temuta!) minoranza di blocco, pari a un terzo dei seggi totali, per impedire l’approvazione di modifiche costituzionali. E così, a quanto pare, grazie al piano ReArm Europe, saranno esentate dalle misure europee di contenimento del debito (Fiscal Compact) le spese militari che superano l’1 per cento del Pil annuo, ovvero 45 miliardi di euro per la Germania che, appunto, in dieci anni (come previsto dal piano di riamo tedesco) fanno 500 miliardi.

Il nuovo debito tedesco (dell’ordine del trilione di euro), sarà da impegnare non solo nel riarmo ma per il rinnovo di infrastrutture obsolete e carenti, come ferrovie, ospedali, strade (compresa la transizione energetica), che necessitano da decenni di nuovi investimenti pubblici. Ora, viene da chiedersi se, liberato il Prometeo di Berlino, non arrivi di nuovo un Krupp a fabbricare cannoni, facendo così rialzare la testa al vecchio (e mai sopito) Imperialismo prussiano. Ci sta, del resto, visto che com’è combinato oggi il mondo, diviso in tre grandi protettorati (non solo simbolici), come il cinese, il russo e l’americano, trova comodamente posto tra di loro un guastafeste europeo che, però, deve avere pure lui le “carte” in regola. Cioè, un sufficiente numero di testate nucleari per partecipare al meccanismo di dissuasione (atomica) globale, per cui chiunque spari per primo è un uomo morto, esattamente come colui che subisce il first-strike. Tutti i partner europei sperano che la rediviva Germania, l’unica finora coi conti in ordine (ma depressa) per permettersi di aumentare con ampi spazi di manovra il suo indebitamento pubblico, faccia da traino per la ripresa economica dell’intero Continente, anche se Paesi super indebitati come l’Italia dovranno fare i conti con l’aumento dello spread tra i titoli pubblici tedeschi e quelli nazionali.

Intanto, si stanno mobilitando per intercettare la manna del finanziamento pubblico di Berlino i colossi industriali tedeschi, proprio per evitare di ricadere nel disastro di Weimar, prodromico alla Seconda guerra mondiale e all’avvento di Hitler che, proprio con il massiccio riarmo della Germania, produsse il miracolo economico che mise fine al flagello dell’iper inflazione.

Ad esempio, tra i protagonisti di questa rivoluzione industriale c’è la Hensold, leader mondiale nel settore dell’elettronica per armamenti, in campo navale, terrestre, marino, spaziale e della cyber security, i cui sistemi radar sono oggi impiegati a protezione dell’Ucraina dagli attacchi missilistici di Mosca. Ovviamente, a beneficiarne soprattutto sarà l’industria in grave crisi dell’automotive tedesca, che potrà così riconvertire un buon numero di effettivi nei settori in espansione, come quello degli armamenti e dell’elettronica. A gennaio scorso, per intenderci, la stessa Hensold si è offerta di riassumere i lavoratori licenziati da Bosch e Continental, che operano nell’indotto dell’automotive. Così ha fatto anche il gigante dell’acciaio, Rheinmetall, con la riconversione di due insediamenti industriali in crisi, operativi nella produzione di ricambi per il settore automobilistico. Questa configurazione tedesca del mutuo soccorso industriale è destinata a espandersi e fare da pivot per il rafforzamento della difesa europea, in sostituzione del ruolo svolto per ottanta anni dall’America.

Il notevole aumento della spesa pubblica tedesca è destinato a proteggere soprattutto i lavoratori metalmeccanici, che vedono messi ad alto rischio i loro posti di lavoro dalla crisi dell’esportazione di auto verso i mercati statunitensi, alla quale oggi si sommano i dazi del 25 percento imposti dall’Amministrazione Usa sulle importazioni di autovetture dall’estero.

Se, nel corso del suo primo mandato, Donald Trump ha operato per un significativo decoupling Usa/Cina per favorire il rilancio dell’occupazione interna, oggi nel corso del suo secondo mandato ha intenzione di fare di più e meglio nei confronti dei suoi ex alleati, definiti “parassiti”, non senza qualche ragione storica, essendo tra l’altro l’Iva europea una tassa indiretta sulle importazioni dall’estero.

Oggi, le crescenti aspettative (non disgiunte dai timori e dai malumori di qualcuno) verso la ripresa economica della Germania, e del suo ruolo strategico nella nuova difesa europea, sono la conseguenza diretta dell’iper protezionismo mercantile degli Usa, e della rinuncia americana a esercitare il ruolo di potenza egemone nel campo della sicurezza mondiale. Sintomatici, in tal senso, sono i drastici tagli di bilancio americani a UsAid e, più in generale, la rinuncia a esercitare il soft-power tradizionale americano nel campo della ricerca e della cultura.

Del resto, se solo dieci anni fa era del tutto inconcepibile da parte degli Stati Uniti l’abbandono degli alleati europei rispetto alla difesa dei loro confini, in quanto d’interesse strategico per il mantenimento dell’influenza americana nel resto del mondo, è giocoforza oggi accettare la nuova visione trumpiana che vuole gli Usa “vittime” dell’opportunismo dei suoi alleati tradizionali, irriconoscenti in merito ai notevoli sacrifici sostenuti oltre Atlantico, per garantire il benessere economico dell’Europa.

Nel prossimo futuro, sono in arrivo forti turbolenze dovute alla denuncia unilaterale di accordi di libero scambio da parte americana, in cui i più colpiti sono i Paesi particolarmente vulnerabili all’innalzamento delle barriere doganali e all’aumento dei dazi sulle esportazioni, come il Messico.

L’Europa, tuttavia, potrebbe risentirne solo marginalmente, dato che il suo export annuale complessivo verso gli Usa non supera il 3 per cento del Pil continentale. E poiché anche le più ottimistiche previsioni ci dicono che ci vorrà non meno di un decennio per costruire una vera difesa europea degna di questo nome, incluso il deterrente nucleare, indovinate un po’ da chi, nel frattempo, saremmo costretti a comprare sistemi d’arma avanzati (missili, droni, Ai per il nuovo warfare, e così via) compatibili con la Nato? Ma da Trump, naturalmente. Cornuti e mazziati, si direbbe.

 

Aggiornato il 02 aprile 2025 alle ore 09:27