Israele e Gaza: tra raid, attentati e proteste

Tornano gli attentati nello Stato ebraico. Nella valle di Jezreel, vicino a Yokneam, un uomo ha aperto il fuoco sui civili prima di essere colpito dalle forze di sicurezza. Il bilancio è pesante: un uomo di 75 anni è stato ucciso, mentre un ventenne è in condizioni critiche. Secondo il servizio ambulanze Magen David Adom, il giovane è stato prima investito alla fermata dell’autobus, poi accoltellato dall’attentatore, che subito dopo è tornato alla sua auto e ha sparato contro il 75enne, uccidendolo sul colpo. Solo l’intervento rapido degli agenti ha impedito un bilancio ancora più grave. L’attacco arriva in un momento già carico di tensione, mentre i negoziati per una tregua tra Israele e Hamas sembrano nuovamente in bilico. Un funzionario egiziano ha riferito che il gruppo islamista sarebbe pronto a rilasciare cinque ostaggi, tra cui l’americano-israeliano Idan Alexander, in cambio di una pausa nei combattimenti e di un maggiore afflusso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. In cambio, Israele dovrebbe liberare centinaia di prigionieri palestinesi. Ma il governo di Benjamin Netanyahu ha subito smentito la possibilità di un accordo imminente, lasciando intendere che la trattativa resta ferma.

Sul piano politico, il ministro degli Esteri Gideon Saar ha ribadito che “Israele non ha ancora deciso se imporre o meno un governo militare a Gaza”, rispondendo ai giornalisti durante un incontro con l’alto rappresentante dell’Unione europea Kaja Kallas a Gerusalemme. Poi ha difeso l’operato del governo, citando il diritto internazionale e sottolineando che “i 25mila camion di aiuti umanitari che Israele ha fatto entrare durante la tregua sono adeguati per le esigenze dei gazawi”. E ha mandato un messaggio chiaro alla comunità internazionale: “Nessun Paese è obbligato a facilitare una guerra contro se stesso. Israele non deve essere tenuto a uno standard diverso”. Ma mentre il conflitto continua, il governo israeliano deve affrontare anche una crisi politica interna sempre più grave.

ISRAELE: SI SCALDA IL FRONTE INTERNO

La battaglia politica in Israele si sposta sul fronte interno. L’esecutivo guidato da Bibi Netanyahu ha votato all’unanimità la sfiducia alla procuratrice generale Gali Baharav-Miara, avviando di fatto il processo per la sua rimozione. Una decisione che segna un nuovo capitolo dello scontro tra il governo e la magistratura, mentre nelle strade continuano le proteste contro Netanyahu e la gestione della guerra e degli ostaggi. Il premier non era presente alla votazione, vincolato da un accordo sul conflitto di interessi che gli impedisce di intervenire su questioni che potrebbero influenzare il processo penale a suo carico. Baharav-Miara, che supervisiona il sistema giudiziario e quindi anche il procedimento contro Netanyahu, ha reagito con una lettera ai ministri, accusando il governo di voler “operare al di sopra della legge e senza controlli, anche nei momenti più delicati, in periodi di emergenza, di proteste antigovernative e di elezioni”.

Adesso la procuratrice dovrà comparire davanti a un comitato consultivo, guidato dall’ex giudice capo della Corte suprema Asher Grunis. Solo dopo questa fase il governo potrà procedere formalmente al licenziamento, ma il processo potrebbe durare mesi. Le tensioni tra il governo e la magistratura sono aumentate ulteriormente dopo il caso Ronen Bar, il direttore dello Shin Bet – l’agenzia di intelligence interna israeliana. Netanyahu aveva annunciato il suo licenziamento, ma la Corte suprema ha bloccato tutto e l’8 aprile esaminerà i ricorsi contro la decisione. Baharav-Miara ha definito la mossaillegale e viziata da conflitti di interesse”, ricordando che il capo dello Shin Bet non è un funzionario politico e non può essere rimosso a discrezione del primo ministro. Anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha preso posizione, esortando il governo a rispettare le decisioni della magistratura. “Le regole di base della democrazia devono essere rispettate”, ha dichiarato, mettendo in guardia Netanyahu da un pericoloso scontro istituzionale.

Nel frattempo, la tensione sociale continua a crescere. Per il sesto giorno consecutivo, migliaia di israeliani sono scesi in piazza per protestare contro Netanyahu e la prosecuzione della guerra a Gaza. A Tel Aviv e Gerusalemme, i cortei hanno paralizzato il traffico, mentre davanti alla residenza del premier si sono registrati scontri con la polizia. A Gerusalemme, un gruppo di manifestanti ha tentato di sfondare le transenne poste a protezione della residenza privata del premier, scatenando l’intervento degli agenti. Tre persone sono state arrestate. La protesta, inizialmente focalizzata sulla richiesta di nuove elezioni, è ormai diventata un’ondata di contestazione contro l’intera gestione del governo.

Aggiornato il 24 marzo 2025 alle ore 15:50