
A Gedda, in Arabia Saudita, dietro le porte chiuse di una sala riunioni del Ritz-Carlton, Washington e Kiev stanno giocando una partita decisiva per il futuro dell’Ucraina. Da più di quattro ore la delegazione ucraina discute con gli americani, mentre le dichiarazioni filtrano a intermittenza. “Stanno facendo progressi”, ha assicurato Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale degli Usa, intercettato dalla Cnn nell’hotel insieme al senatore Marco Rubio. “Lavori in corso”, ha scritto sui social Andriy Yermak, braccio destro di Volodymyr Zelensky, lasciando intendere che il dialogo va avanti, ma con le sue difficoltà. L’Ucraina è arrivata a Gedda con una proposta concreta: un cessate il fuoco parziale. L’idea è semplice sulla carta, ma complessa nella realtà: fermare gli attacchi aerei e navali come primo passo verso una trattativa più ampia con Mosca. Washington non ha chiuso la porta, anzi, ha definito la proposta “promettente”. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere alto: gli Usa hanno già chiarito che Kiev dovrà accettare “concessioni sui territori che la Russia ha preso dal 2014” per avvicinarsi alla pace. A Mosca osservano con attenzione. “In qualche modo la parte americana ci informerà”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Non un via libera, ma un’ammissione che il dossier ucraino è ormai sul tavolo anche di Washington.
I colloqui di Gedda sono il primo riavvicinamento ufficiale dopo lo strappo tra Zelensky e Donald Trump nello studio ovale. Il leader ucraino aveva tentato di ottenere nuove garanzie di aiuti, ma l’incontro si era concluso con un nulla di fatto e con un pesante scontro tra i due leader. Ora Kiev prova a ricucire, mostrando agli Usa la volontà di trattare davvero con Mosca. “Ci siamo quasi”, ha dichiarato il tycoon, facendo capire che lo stop agli aiuti militari e all’intelligence potrebbe essere revocato. Ma ha anche ribadito che Kiev deve mostrarsi “seria” nei negoziati, perché “non ha le carte” in mano. Una frase che riecheggia il duro monito rivolto a Zelensky a Washington, quando l’inquilino della Casa Bianca gli aveva ricordato, senza giri di parole, che il sostegno americano non è infinito. Trump ha poi fatto i conti. “Abbiamo speso 350 miliardi di dollari, ma la cosa importante sono le vite umane. Almeno 2.000 soldati sono morti questa settimana”, ha dichiarato, riferendosi ai combattimenti in corso nel Donetsk e nel Kursk russo. Numeri che pesano e che alimentano il dibattito negli Stati Uniti sulla necessità di proseguire il supporto a Kiev.
Per gli americani, al tavolo saudita sono seduti il segretario di Stato Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz. Per l’Ucraina, Andriy Yermak guida la delegazione, affiancato dal ministro degli Esteri Andriy Sybiha e dal ministro della Difesa Rustem Umjerov. La priorità per Washington è chiara: “Stabilire chiaramente le intenzioni dell’Ucraina” sulla pace e assicurarsi che Kiev sia disposta a “fare cose difficili”, così come dovranno farle i russi. Inoltre, sul tavolo c’è anche la questione delle terre rare ucraine, un tema che aveva contribuito a far naufragare i negoziati a Washington. Ma secondo fonti vicine ai colloqui, l’intesa potrebbe essere raggiunta già in questi giorni. “I segnali sono positivi”, ha dichiarato Steve Witkoff, inviato di Trump. E tra gli Stati europei, l’Inghilterra osserva i colloqui di Gedda con attenzione. Il premier britannico Keir Starmer ha sentito Trump e ha auspicato “un esito positivo” dei colloqui di Gedda, che possa permettere “una ripresa del sostegno militare e d’intelligence” da parte del Pentagono. Nel frattempo, sabato tornerà a riunire in videoconferenza la coalizione dei volenterosi per Kiev inaugurata da Londra e Parigi.
A differenza di quanto ipotizzato nei giorni scorsi, a Gedda non ci sarà alcun incontro diretto tra Stati Uniti e Russia. Peskov ha smentito le indiscrezioni della Cnn su possibili colloqui paralleli, pur riconoscendo che il disgelo tra Washington e Mosca è iniziato, anche se “il percorso è ancora lungo e difficile”. Tuttavia, un segnale è arrivato: sia Vladimir Putin che Trump “hanno espresso la volontà politica” di lavorare in questa direzione.
Aggiornato il 11 marzo 2025 alle ore 16:57