
Dopo tre mesi dalla caduta del regime, la Siria rischia la guerra civile. Le forze di sicurezza siriane e gruppi alleati hanno ucciso 973 civili alawiti nell’ovest del Paese dal 6 marzo. Il dato emerge da un nuovo bilancio dell’Osservatorio sui diritti umani in Siria. La violenza è stata innescata giovedì scorso da un sanguinoso attacco da parte di sostenitori del deposto presidente Bashar al-Assad contro le forze di sicurezza a Jableh, vicino alla città di Latakia, culla della minoranza alawita, ramo dell’Islam sciita da cui proviene il clan Assad. Un’inchiesta governativa, definita “indipendente” ma i cui membri sono stati nominati dall’autoproclamato presidente siriano Al Jolani, dovrà far luce entro un mese, dei massacri attribuiti a uomini armati vicini allo stesso presidente e compiuti da giovedì contro civili siriani, tra cui donne e bambini, in larga parte alawiti ma anche cristiani nelle regioni costiere di Latakia e Tartus e nelle regioni centrali di Hama e Homs. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha condannato i “terroristi islamisti radicali” per questi “massacri” e ha invitato le autorità siriane a perseguire i responsabili, dopo un appello delle Nazioni Unite per la fine immediata delle “orfani dei civili”. Una delegazione dell’Onu ieri è stata per la prima volta accompagnata da truppe governative a Jabla, una delle città alawite più colpite.
“Riterremo responsabile, con fermezza e senza clemenza, chiunque è coinvolto nello spargimento di sangue di civili o che ha oltrepassato i poteri dello Stato”, aveva assicurato ieri Al Jolani. Gli alawiti sono una comunità sciita da decenni percepita da più parti, dentro e fuori la Siria, come del tutto complice del disciolto regime siriano, incarnato per più di mezzo secolo dalla famiglia Assad. Il presidente Bashar al-Assad è stato deposto l’8 dicembre da un’offensiva militare sostenuta dalla Turchia e guidata proprio da Al Jolani, ex leader qaidista e fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts). Parlando dalla Grande moschea di Damasco, luogo politicamente sempre più identificato col sunnismo militante siriano, Al Jolani ha ribadito la volontà del suo Governo di “mantenere l’unità nazionale” e la “pace civile per quanto possibile. Se Dio lo vorrà saremo capaci di vivere assieme in questo paese”, ha detto. La commissione d’inchiesta, di cui fa parte tra gli altri il giudice Jumaa Dibis. Anzi, noto per le sue posizioni esplicitamente ostili alle comunità non sunnite, dovrà far luce sulle “violazioni contro civili” e “assicurare i responsabili alla giustizia”. Il governo non ha finora fornito alcun bilancio ufficiale delle violenze.
Intanto, “l’Unicef è profondamente allarmata per la recente ondata di violenza nelle zone costiere della Siria, che, secondo le notizie, ha causato la morte di almeno 13 bambini, tra cui un neonato di sei mesi. L’escalation avrebbe inoltre causato ulteriori vittime e feriti tra i civili, lo sfollamento di migliaia di famiglie e danni alle infrastrutture fondamentali”. Lo afferma il direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Edouard Beigbeder. L’Unicef fa eco all’appello del segretario generale delle Nazioni Unite alla moderazione per evitare ulteriori perdite di vite umane. “Esortiamo tutte le parti a cessare immediatamente le ostilità e a rispettare pienamente gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei diritti umani”, prosegue Beigbeder. “È indispensabile adottare tutte le misure possibili per proteggere i civili, soprattutto i bambini, e salvaguardare le infrastrutture civili essenziali, come gli ospedali. Le violenze in corso evidenziano l’urgente necessità di rispettare queste leggi e di garantire agli operatori umanitari un accesso rapido, sicuro e senza ostacoli per fornire servizi salvavita alle persone colpite dai combattimenti”. L’Unicef chiede a tutte le parti di dare “priorità alla riconciliazione e di impegnarsi per una transizione politica pacifica, assicurando che i bambini siriani possano sopravvivere, prosperare e raggiungere il loro pieno potenziale. I bambini siriani hanno sofferto abbastanza. Hanno il diritto di vivere in pace e di sperare in un futuro migliore”.
Aggiornato il 10 marzo 2025 alle ore 16:04