
Lo scorso anno, gli ecuadoriani che guardavano il famoso programma televisivo El Noticiero sono rimasti sconcertati quando il caos è esploso sullo schermo. Intrusi mascherati, armati di fucili, pistole ed esplosivi hanno fatto irruzione negli studi della tv pubblica, costringendo sotto minaccia i conduttori e la troupe a sdraiarsi sul pavimento e mostrando le armi alla telecamera. Un pubblico inorridito ha assistito in diretta alla furia degli uomini incappucciati. Il drammatico episodio è stato solo uno dei casi più evidenti di disgregazione sociale in un Paese che sta lentamente venendo schiacciato sotto il peso della violenza e della criminalità. Con un tasso di omicidi di oltre 45 persone ogni 100 mila nel 2023, quasi nove volte quello degli Stati Uniti, l’Ecuador è il Paese più pericoloso dell’America Latina e uno dei più violenti al mondo. Solo la Giamaica ha un tasso più alto di omicidi intenzionali.
Ma non è sempre stato così. Nel 2017, l’Ecuador era uno dei Paesi più sicuri e stabili dell’America Latina, con un tasso di omicidi equivalente a quello degli Stati Uniti e un’economia che era raddoppiata nell’ultimo decennio. Carlos Correa, uomo di Sinistra, aveva appena concluso una lunga e prospera presidenza sulla piccola nazione, che beneficiava del crescente sviluppo delle sue riserve di petrolio e minerarie, e sembrava destinata a crescere in modo costante e pacifico sotto il suo successore Lenín Moreno, di cui Correa era stato mentore politico.
Questo sogno si è infranto. Negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria esplosione di criminalità e corruzione che ha affossato qualsiasi capacità di risposta da parte del governo.
Il catalizzatore dell’esplosione è la posizione geografica dell’Ecuador e il suo status di grande esportatore di prodotti agricoli, utile copertura per il trasporto della cocaina. Per sfruttare le opportunità disponibili nel Paese, i narcoterroristi si sono infiltrati a sud dalla vicina Colombia, mentre i signori della criminalità albanese si sono costantemente insinuati nel Paese da oltreoceano. La criminalità organizzata locale, che era stata a lungo caratterizzata da un insieme di gruppi o gang deboli, si è assicurata collegamenti con i cartelli del Messico, fornendo loro un massiccio afflusso di denaro e armi.
Il governo ecuadoriano era completamente impreparato a questi sviluppi. Sotto Correa, le politiche dell’Ecuador erano antiamericane per riflesso e il presidente ha chiuso la base militare americana di Manta che veniva utilizzata per attività di controllo del narcotraffico. Ha sciolto persino l’unità di polizia antidroga del Paese addestrata dagli Stati Uniti. Correa ha reso meno rigide anche le leggi nazionali in materia di disciplina degli stupefacenti, legalizzando il possesso di droghe altrimenti illecite al di sotto di una certa quantità, una mossa che avrebbe dovuto porre fine ai procedimenti giudiziari per il reato apparentemente senza vittime del mero consumo di droga, ma che invece ha consentito un uso più ampio di sostanze stupefacenti e una rete notevolmente ampliata di micro-spacciatori e corrieri.
Ora, i cartelli controllano apertamente le prigioni, minacciano i funzionari governativi e sequestrano le stazioni televisive in diretta. Il porto di Guayaquil è controllato dalla mafia albanese, che imbottisce generosamente le esportazioni di banane ecuadoriane verso l’Europa con cocaina proveniente dalla Colombia. Un quarto di tutta la cocaina sequestrata in Europa proviene dall’Ecuador.
Opporsi troppo apertamente può rivelarsi fatale: nel 2023, il politico di destra Fernando Villavicencio è stato assassinato dalla più grande organizzazione criminale nazionale dell’Ecuador, Los Lobos, dopo aver chiesto un giro di vite sulla criminalità nell’ambito della sua campagna presidenziale.
Anche le conseguenze per i comuni cittadini sono state gravi. “La situazione in Ecuador è fatale”, ha detto un cittadino a The American Conservative. Da allora l’uomo ha lasciato il Paese e ha portato la sua famiglia a vivere nel più sicuro Paraguay.
“Stiamo vivendo nell’insicurezza a causa della criminalità”, ha detto Caroline, una residente di Guayaquil. “Se hai una piccola attività, come un negozio di ferramenta o un chiosco di encebollado, o qualsiasi attività grande o piccola, queste persone malvagie vogliono vivere sulle tue spalle anche se hai un magro reddito”. Le richieste della criminalità organizzata sono state devastanti per l’economia nazionale: “La maggior parte delle persone ha chiuso le proprie attività, perché se non dai loro quello che chiedono ogni mese, manderanno gente a rapirti o persino a ucciderti”.
Molte delle persone con cui ha parlato The American Conservative hanno menzionato “il famigerato ‘vaccino’”, il termine gergale per le somme di denaro che i criminali spavaldi estorcono alle aziende locali con il pretesto della protezione. Ana Cristina, anche lei di Guayaquil, ha raccontato come una delle sue vicine abbia lottato per guadagnarsi da vivere con la sua piccola attività, un ristorante che serve encebollado, una zuppa di pesce che è uno dei piatti nazionali dell’Ecuador, sotto la minaccia delle gang locali. “Attualmente, paga (...) ma se non lo fa, hanno minacciato di togliere la vita a qualcuno della sua famiglia. Quindi per ora, versano ogni settimana denaro per ottenere la presunta ‘protezione, ma ovviamente non viene offerta alcuna protezione. Pertanto, devono pagare settimanalmente per tenere aperto il negozio, ma [i criminali] rapinano anche i clienti del negozio”.
“Dobbiamo vivere nella paura”, ha detto la donna, “la paura e la consapevolezza della situazione del Paese: gli omicidi, le rapine, le estorsioni”.
È un modo estenuante di vivere, e colpisce duramente le persone più vulnerabili. Ana Cristina è madre di una bambina di 3 anni e si preoccupa di ciò che potrebbe accadere a sua figlia se lei o suo marito fossero vittime della criminalità violenta che è diventata onnipresente in città. Si preoccupa anche della crescente influenza del crimine e della vita delle gang su sua figlia e sui suoi futuri figli quando cresceranno: “In questo quartiere, che dispone di scarse risorse, [le bande e i cartelli] svolgono un’intensa attività di reclutamento (...) tragicamente, i giovani diventano delinquenti e persino assassini all’età di 14 anni, [anche a 11 anni]”.
Gli sforzi del governo per reprimere la criminalità sono stati inefficaci. L’attuale presidente di Destra dell’Ecuador, Daniel Noboa, ha assunto una posizione decisa nei confronti della crescente ondata di criminalità, dichiarando lo stato di emergenza, classificando 22 gruppi di criminalità organizzata operanti nel Paese come entità terroristiche e dispiegando l’esercito, ma ha avuto scarso successo nel fermare la discesa del Paese nell’illegalità. Le forze militari ecuadoriane sono scarsamente addestrate ed equipaggiate, e la corruzione è diventata endemica in seno al governo e alla polizia, rendendo pressoché impossibile amministrare efficacemente la giustizia anche quando i leader delle bande vengono rintracciati e catturati.
La sorte di due signori della droga locali dimostra le difficoltà che Noboa e i suoi alleati incontrano nel tentativo di stabilizzare il Paese. Adolfo Macías, capo del cartello Los Choneros, gestiva la sua impresa criminale dalla prigione del Litoral di Guayaquil, dove una combinazione di corruzione e di scarsa sicurezza gli consentiva di operare con relativamente poche limitazioni. Quando il governo ha preso accordi per trasferirlo in un carcere di massima sicurezza, è evaso, scatenando un grave conflitto che ha portato Noboa a dichiarare lo stato di guerra interno del Paese. Appena due giorni dopo, anche Fabricio Colón Pico, leader dei Los Lobos, è evaso dopo essere stato arrestato per aver pianificato l’assassinio del procuratore generale dell’Ecuador. Entrambi sono stati quasi certamente aiutati da agenti di polizia e guardie carcerarie, bersagli frequenti della corruzione da parte dei cartelli.
Il fallimento di Noboa è un’altra dimostrazione della difficoltà insita nel porre fine alla criminalità organizzata, che spesso resiste ai tentativi dei governi e dei militari di fermarla con la forza. L’esempio di Nayib Bukele in El Salvador è eccezionale, ma difficile da applicare quando ci si trova di fronte alle risorse disponibili per forti imprese criminali come l’Eln in Colombia o il Cjng in Messico. I cartelli sono esperti nell’utilizzare i munifici incentivi disponibili per le reti criminali: l’attrattiva di generosi benefici derivanti dal redditizio commercio di droga e la minaccia di ricorrere alla violenza contro il bersaglio e i suoi familiari. Se non possono essere profondamente compromessi in un colpo solo, spesso corrodono la capacità del governo di combatterli efficacemente.
La situazione in cui versa attualmente l’Ecuador è tale che persino Paesi molto più forti e sviluppati come il Messico e la Colombia hanno faticato a far fronte in modo efficace e rischia di trasformare la piccola nazione in uno Stato fallito. Ma se il Paese continuerà a non riuscire a tenere sotto controllo la criminalità e la corruzione, i costi saranno immensi, sia per i suoi cittadini che per le vittime della criminalità e della droga che salpa dai suoi porti per inondare il resto del mondo.
(*) Tratto da The American Conservative
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 26 febbraio 2025 alle ore 10:39