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Germania, i think tank premono per aumentare le spese militari
Se vuoi un lavoro, prepara la guerra. La Germania di Friedrich Merz o si riarma o cadrà sotto i colpi della recessione. Per evitare il peggio, hanno affermato in questi giorni gli istituti di ricerca economica più accreditati del Paese, il nuovo Governo dovrà puntare su due priorità: meno burocrazia e più efficienza amministrativa e, soprattutto, alla luce del possibile disimpegno Usa nella Nato, fare molto di più per migliorare le proprie capacità di difesa militare nei prossimi anni. Perché se sarà fatto in modo intelligente, anche l’economia civile potrebbe trarne beneficio. L’istituto Ifo di Monaco, il Leibniz Institute for Economic Research e il Kiel Institute for the World Economy caldeggiano una “Nato europea”, con una Germania che ne assuma il ruolo centrale che oggi è degli Stati Uniti. Si tratta, dunque, di sbloccare quel Piano Scholz da 107,1 miliardi, presentato dal cancelliere (ora uscente) 3 giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per modernizzare la Bundeswehr. E di marciare in parallelo con quanto annunciato da Emmanuel Macron per la Francia il 21 febbraio: aumento delle spese militari dall’attuale 2,1 a un livello che oscillerebbe tra il 4 e il 5 per cento del Pil.
Per rilanciare l’economia tedesca, e abbattere letteralmente la disoccupazione, si deve puntare su un’economia bellica. Esattamente come accadde nel 1940 all’economia americana, che si risollevò anche, o forse solo, per alcuni economisti, grazie all’entrata in guerra di Zio Sam. Come ci ricorda Francois-xavier De Vaujany nel suo interessantissimo Apocalypse manageriale, lo sforzo bellico statunitense registrò una spesa militare che passò dai 2 miliardi di dollari nel 1940 agli 80 miliardi nel 1945, pari al 44 per cento del Pil. E fu la svolta. Perché in 3 anni i 12 milioni di disoccupati vennero totalmente assorbiti dalla domanda dell’industria bellica. La disoccupazione al 15 per cento del 1940 è solo un brutto sogno. Nel 1944, il tasso dei senza lavoro scende all’1 per cento. L’occupazione femminile, già in forte ascesa dagli anni Trenta, nel 1940 registra un aumento del 20 per cento. La guerra, dunque, come unico vero motore capace di rilanciare la piena occupazione. Lo ha ribadito di recente il Kiel Institute for the World Economy (IfW Kiel) con una ricerca in collaborazione con il think tank Bruegel Research Institute di Bruxelles. Per difendersi dalla Russia, un’Europa, senza il sostegno degli Stati Uniti, dovrebbe investire circa 250 miliardi di euro all’anno, per creare 50 brigate aggiuntive per un totale di 300mila soldati. Questo richiederebbe – si legge nella ricerca – almeno 1.400 nuovi carri armati da combattimento e duemila veicoli da combattimento per la fanteria, una cifra superiore alle attuali scorte dell’intera forza terrestre tedesca, francese, italiana e britannica.
L’Europa, inoltre, dovrebbe produrre circa duemila droni a lungo raggio ogni anno. “Anche se inizialmente la portata è considerevole, economicamente è gestibile rispetto alla forza economica dell’Ue”, poiché “i costi aggiuntivi ammontano solo a circa l’1,5 percento del prodotto interno lordo dell’Ue”. Si tratta “di una cifra molto inferiore a quella che è stata necessaria per affrontare la pandemia di Covid”, afferma Guntram Wolff, coautore dell’analisi e ricercatore senior presso il Kiel Institute for the World Economy. Secondo lo studio, metà dei 250 miliardi annuali potrebbe essere finanziata tramite debito europeo congiunto e utilizzata per appalti congiunti, il che offre vantaggi in termini di costi rispetto agli appalti nazionali. L’altra metà potrebbe essere finanziata dagli Stati membri attraverso la spesa per la difesa nazionale.
Per la Germania, in quanto maggiore economia europea, ciò significherebbe un aumento della spesa per la difesa nazionale da 80 a 140 miliardi di euro, pari al 3,5 del Pil. Investire sulle armi è un’idea che piace anche a Handelsblatt. Nell’editoriale post voto, il quotidiano economico rileva che “nelle prossime settimane, mesi e anni l’attenzione sarà rivolta ai contratti per la vendita di armi. Sarà necessario discutere di una possibile leva militare, così come di un generoso aumento del bilancio per la difesa e di un dibattito sulla deterrenza nucleare”. A rafforzare il concetto di ha pensato il direttore dell’Ifo Institute di Monaco di Baviera, Clemens Fuest, che ha twittato un video di Macron in cui afferma di considerare l’ipotesi di aumentare le spese militari della Francia, nel caso in cui gli Usa vogliano alleggerire il loro impegno finanziario nella Nato, senza tuttavia specificare a quale livello di Pil si potrà arrivare.
Aggiornato il 25 febbraio 2025 alle ore 10:12